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La cucina italiana diventa Patrimonio Unesco

La cucina italiana è questo: un intreccio di storie, un patrimonio in movimento. E da oggi, grazie all’Unesco, un impegno condiviso per custodirlo e raccontarlo alle generazioni future.
Sapori - Un piatto di pasta

È una notizia destinata a entrare nei libri di storia culturale: la cucina italiana, non un piatto, non una ricetta, ma l’intero suo patrimonio di saperi, gesti e ritualità, è ufficialmente Patrimonio Immateriale dell’Umanità. A New Delhi il Comitato intergovernativo dell’Unesco ha detto sì a una candidatura che l’Italia inseguiva da anni, e che rappresenta un unicum: finora erano state riconosciute pratiche gastronomiche specifiche – dal pasto francese al washoku giapponese, dal kimchi coreano al borscht ucraino – ma mai l’insieme culinario di un’intera nazione.

Un risultato che affianca la “cucina degli affetti” alle eccellenze già inserite nella Lista, come la dieta mediterranea, l’arte dei pizzaiuoli napoletani, la cerca e cavatura del tartufo e i paesaggi vitivinicoli delle Langhe. Ma qui, sottolineano gli esperti, non si celebra un monumento, bensì un organismo vivente: la cucina italiana nel suo complesso, con tutte le sue varianti regionali, locali e familiari.

La candidatura – “La cucina italiana, tra sostenibilità e diversità bioculturale” – è stata curata dall’Ufficio Unesco del Ministero della Cultura e redatta dal giurista Pier Luigi Petrillo, con il coordinamento scientifico dello storico dell’alimentazione Massimo Montanari. A sostenerla, un fronte istituzionale e culturale ampio: il Masaf, il Ministero della Cultura, l’Accademia Italiana della Cucina, la Fondazione Casa Artusi, la rivista La Cucina Italiana, Slow Food, la Federazione Italiana Cuochi e l’Anci. Una rete che, da decenni, studia e preserva l’identità gastronomica del Paese.

Nel documento non c’è un piatto bandiera, ma un’idea: la cucina come “mosaico”. Un insieme di tradizioni comunitarie e famigliari che dialogano tra loro e con il mondo. Il pranzo della domenica, il ragù che sobbolle per ore, la tovaglia bianca che si macchia di sugo, il pane passato di mano in mano, le superstizioni che resistono. Una memoria condivisa che plasma l’identità di un popolo.

Il sì dell’Unesco non è un trofeo da esibire, né un marchio di superiorità. È un patto: l’Italia dovrà inventariare, tutelare e trasmettere questo patrimonio insieme alle comunità che lo custodiscono – famiglie, cuochi, produttori, associazioni. Significa investire in educazione alimentare, ricerca, musei del gusto, progetti scolastici, archivi della memoria culinaria. Ogni sei anni sarà necessario presentare un rapporto all’Unesco sullo stato di salute di questa eredità culturale.

Sul piano internazionale, il riconoscimento offre anche una protezione in più contro il fenomeno dell’Italian sounding, che da decenni danneggia prodotti e identità.

Non stupisce che, nel giorno dell’annuncio, cuochi e ambasciatori del gusto abbiano espresso entusiasmo. Massimo Bottura parla di “giornata storica”: «La nostra cucina è la somma di centinaia di micro-cucine, ma ovunque, che sia una rezdora o uno chef, si cucina con un amore che non ha rivali». Anche Bruno Barbieri e Giorgio Locatelli sottolineano come questo riconoscimento non sia un punto d’arrivo, ma una responsabilità nuova: valorizzare, contaminare, continuare a crescere.

Il presidente del comitato scientifico Montanari invita però alla prudenza: non si tratta di celebrare la supremazia di una cucina, ma di ringraziare tutte le culture che, nei secoli, hanno contribuito a formarla. Dalle Americhe arrivarono i pomodori, dal mondo arabo la pasta secca, dalle migrazioni nuove contaminazioni che oggi definiscono il nostro gusto.

La cucina italiana è questo: un intreccio di storie, un patrimonio in movimento. E da oggi, grazie all’Unesco, un impegno condiviso per custodirlo e raccontarlo alle generazioni future.

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