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domenica 10 novembre 2024 | ore 20:32

È giusto accertare la malattia dei dipendenti

Respinto il ricorso di un operaio che aveva impugnato il licenziamento comminato dalla datrice di lavoro per Giusta causa.
Consulente Legale - Targa studio Guffanti

È comportamento legittimo quello tenuto dal datore di lavoro che fa seguire da un investigatore privato il proprio dipendente che si mette in malattia, seppur con regolare certificato medico, al fine di accertare se la malattia medesima è vera o meno.

La Suprema Corte di Cassazione a riguardo si è espressa in maniera decisamente netta ed infatti, con ordinanza n. 11697 del 17 giugno 2020, ha respinto il ricorso di un operaio che aveva impugnato il licenziamento comminato dalla datrice di lavoro per Giusta causa, in quanto si era assentato dal cantiere presso cui svolgeva la propria attività, adducendo di essersi procurato un trauma contusivo con varie lesioni, con tanto di certificazione del pronto soccorso, tuttavia, poi era stato sorpreso a fare attività fisica, pedalando per ore e camminando, ed a fare shopping con il figlio, addirittura portandolo sulle spalle.
Sostiene la corte di Cassazione, non si viola nessuna disposizione di legge (nello specifico gli artt. 2,3,4 l. n.300/70) in quanto, non si verte in ipotesi di controllo datoriale circa l'esecuzione della prestazione lavorativa ma, invece, di verifica e controllo di un comportamento extralavorativo illecito, fondato sul sospetto del mancato svolgimento illegittimo dell'attività lavorativa per l'insussistenza dell’incapacità lavorativa, che nel caso di specie, era invece presente. Ebbene, per i Giudici della Cassazione è legittimo servirsi delle agenzie investigative per verificare l'esatto adempimento delle obbligazioni facenti capo al dipendente con riguardo a comportamenti tenuti al di fuori dell'ambito lavorativo disciplinarmente rilevanti. In buona sostanza, in casi quali quello richiamato nell’ordinanza, nei quali il datore di lavoro sia indotto a sospettare che il mancato svolgimento dell'attività lavorativa sia riconducibile alla perpetrazione di un illecito, anche il solo sospetto o il mero dubbio che un illecito sia in corso di esecuzione, giustifica l'espletamento del controllo da parte del datore di lavoro, né rileva la circostanza che si trattasse di infortunio sul lavoro e non di assenza per malattia e, quindi, non fosse richiesta la reperibilità del lavoratore per la visita fiscale.
Infatti, le disposizioni dell'art. 5 della legge 20 maggio 1970, n. 300, in materia di divieto di accertamenti da parte del datore di lavoro sulle infermità per malattia o infortunio del lavoratore e sulla facoltà dello stesso datore di lavoro di effettuare il controllo delle assenze per infermità solo attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, non precludono al datore medesimo di procedere, ovviamente al di fuori delle verifiche di tipo sanitario, ad accertamenti di circostanze di fatto volte a dimostrare l'insussistenza della malattia o la non idoneità di quest'ultima a determinare uno stato d'incapacità lavorativa e, quindi, a giustificare l'assenza dal lavoro. Nel caso sottoposto all’esame della Corte, gli accertamenti datorIiali, non avevano certamente una finalità di tipo sanitario, sicuramente preclusa, ma miravano, invece, esclusivamente ad una verifica della non riscontrabilità della malattia o l’idoneità di essa a giustificare uno stato di incapacità lavorativa rilevante.

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