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giovedì 18 aprile 2024 | ore 03:28

Arabi alla Scala?

Nella giornata dell’8 marzo, il Principe saudita Badr al Saud si è offerto di fornire allo storico teatro milanese della Scala una partnership economica di 15 milioni di euro.
Milano - Teatro alla Scala

Nella giornata dell’8 marzo, il Principe saudita Badr al Saud si è offerto di fornire allo storico teatro milanese della Scala una partnership economica di 15 milioni di euro in cinque anni, in cambio di una quota all’interno del consiglio di amministrazione del teatro, presieduto dal Sindaco di Milano, Beppe Sala. La proposta ha fatto molto discutere, in particolare le fazioni politiche, che, quando ci sono notizie di questo tipo, sono abili a sguazzarci come pesci. Allo stato attuale delle cose, dopo una prima risposta positiva, l’accordo saudita è stato rifiutato definitivamente. La prima tranche già versata è stata rispedita al mittente e questo formalmente per vizi procedurali non meglio identificati. Sono state smentite tutte le ragioni di “tutela dei diritti umani”, circa le quali l’Arabia non sarebbe conforme, anche se qualche dubbio rimane. Avessero veramente voluto incassare quel denaro, infatti, non ci sarebbe stato errore giuridico a tenere. Fatto sta che ormai i soldi sono sfumati. Con il senno del poi, però, un paio di considerazioni conviene farle. Il coro della politica, quasi unanime, ha salutato di buon occhio il rifiuto al contagio saudita, probabilmente più per convenienza, che per logica. Sì, perché, effettivamente, i soldi non puzzano e, se proprio vogliamo dirla tutta, una quota di minoranza nel cda della Scala sarebbe stata una piccolezza in confronto a quanto già nelle disponibilità arabe a Milano. Farne una questione di nazionalità non avrebbe senso e sarebbe piuttosto ipocrita. Alla base di questo ragionamento c’è una semplice ragione pratica: gli affari sono affari e tutto il resto rimane fuori. Gran parte del ‘Made in Italy’, infatti, è già in mano al Medio Oriente. Solo per fare degli esempi, ma ce ne sarebbero per farne una lista: Alitalia vede Etihad al 49%, ed è proprio grazie all’ingresso della compagnia araba che la società ha evitato per l’ennesima volta il fallimento, preservando i posti di lavoro di tantissimi italiani, Unicredit vede il fondo Aabar Inv. al 9,8%, Eni e Finmeccanica al 2% il Lybian Inv.Authority, Valentino è completamente arabo, così come l’intero quartiere di Porta Nuova è di proprietà dell’emiro qatariota Al Thani. Vale la pena allora ricordare che in economia vige un principio, il quale mai forse potrà combaciare con la politica, che recita: non importa che tu sia bianco o nero; il colore che importa è il “verde”.

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