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giovedì 25 aprile 2024 | ore 21:53

"LeChaim. Alla Vita!"

La storia dell'ingegner Samuel Artale, deportato con la famiglia ad Auschwitz-Birkenau: fu l'unico a sopravvivere. Un incontro a Busto Arsizio per la Giornata della Memoria.
Storie - L'ingegnere Samuel Artale

"Vivete con la convinzione che non ci sono giovani ebrei, giovani mussulmani, giovani cristiani, giovani ortodossi. Tutti voi siete giovani del mondo". Le parole si mischiavano con le emozioni; un messaggio ripetuto più e più volte durante l'incontro ai Molini Marzoli di Busto Arsizio (in occasione della Giornata della Memoria; domenica 27 gennaio) e rivolto alle cosiddette future genarazioni, ma in fondo ad ognuno di noi. Uomini e donne, ragazzi e ragazze, nessuno escluso, perché è proprio da qui che bisogna ripartire, "Dall'immaginare un mondo senza frontiere dove ciascuno, nel rispetto reciproco, è libero di esprimere la sua identità culturale e religiosa. E' un atteggiamento interiore da costruire giorno per giorno: alzarsi la mattina e pensare a cosa potrò fare oggi di buono per me e per gli altri. Forse questo rende la nostra vita migliore e ci rende più umani". L'ingegnere Samuel Artale (all'anagrafe Shmuel von Belskj-Levi, nato a Rostock, in Germania, da una famiglia ebreo - prussiana) oggi ha più di 80 anni ed è uno dei sopravvissuti del Storie - Il campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. Era il 13 aprile del 1944 quando, all'età di 7 anni e mezzo, è stato deportato insieme ai genitori, alla sorella Mirjam, al nonno ed alla zia, riuscendo, alla fine, lui soltanto a salvarsi. "Ricordo quella mattina, il momento che sono venuti a prenderci - si legge dalle pagine del libro 'Alla Vita', dove lo stesso Artale racconta quei terribili momenti - Sono entrati con forza in casa, violando per sempre la nostra intimità familiare. Il terrore mi paralizzava sotto le coperte, poi è arrivata mia mamma e mi ha detto "Sam vestiti. Presto! Dobbiamo andare". Aveva la voce decisa e rassicurante, ma il suo sguardo mi trasmetteva tutt'altro. Così mi sono alzato e mi sono preparato. Non c'è stato il tempo di rendersi conto di cosa ci stesse accadendo. Non c'è stato il tempo di mettere in valigia le cose più care. Non c'è stato nessun preavviso, però forse i grandi se lo aspettavano e così era arrivato anche per noi il momento di lasciare la nostra casa. Ci hanno fatto salire su un camion militare, non eravamo da soli. Da quel giorno non avremmo più rivisto la nostra abitazione". Portati via a forza e condotti alla stazione di Rostock, dove li attendeva il treno che li avrebbe appunto trasportati ad Auschwitz. "C'era una grande confusione. Non si capiva nulla. Davanti e dietro vedevo solo donne, di ogni età, con i propri figli. I soldati urlavano, ci maltrattavano, bastonavano chiunque cercasse di fare resistenza. Camminavamo insieme, prima una fila, poi un'altra, fino a che è arrivato il momento di seprare le mamme dai propri bambini. Nostra madre ha cercato di opporsi a quel comando, ci ha stretto ancora più forte, però i fucili le si sono scagliati contro, fino a che ci hanno diviso del tutto. Mi chiedono oggi se mai riuscitò a perdonare quello che ho vissuto, già il perdono... lo sguardo di mia mamma in quegli istanti ancora adesso mi squarcia la il cuore, l'esperienza più dolorosa della mia vita, ecco questo episodio non lo perdonerò mai". Samuel e la sorella Mirjam erano ormai da soli. Nessuna notizia dei genitori, della zia e del nonno. E la stessa sorte è toccata anche alla sorella. "Non ho più rivisto nemmeno lei. Non so cosa con esattezza cosa le sia successo, ma da informazioni successive, molto probabilmente è stata sottoposta ad esperimenti per mano del dottor Mengele. Il dolore, la paura e l'angoscia, perché mi sono chiesto, una volta diventato grande, è accaduto tutto ciò. Mi è stata sottratta l'infanzia, Storie - Il campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau.1 mi sono stati annientati gli affetti, mi hanno condannato agli incubi. La cosa che ancora adesso mi tormenta è non avere una tomba dove pregare per i miei familiari". Lui e soltanto lui. "Il tempo era come se si fosse fermato. Dovevi provare a sopravvivere, però il tuo destino era nelle mani di altre persone. Oggi c'eri, domani poteva toccare a te di essere prelevato e ucciso. Non dimenticherò mai i cadaveri ammassati oppure i luoghi dove ci facevano stare, tutti attaccati, sporchi e spesso ammalati. Parassiti e topi erano ovunque, l'odore era nauseante e di notte non si potevano neppure aprire le porte per cambiare l'aria. Dovevi cercare di resistere, alla fine, perché se i soldati notavano sul tuo volto i sintomi dell'infenzione, venivi assegnato direttamente alle camere a gas". L'orrore, la disperazione si mischiavano con la rabbia e con l'odio che minuto dopo minuto crescevano nella testa e nel cuore. Fino a quel 27 gennaio del 1945 quando l'Armata Rossa ha aperto i cancelli. "Era un sabato. Finalmente liberi, anche se per me la percezione di libertà non è stata così immediata. Essere sopravvissuto ad un simile inferno è stato veramente un miracolo. Mi piace pensare sempre alla mano benedicente di mia madre sopra il mio capo. I giorni successivi, allora, sono stato affidato, credo, alla Croce Rossa polacca, una vera e propria salvezza per molti. Ci hanno dato, infatti, del cibo caldo, che ci ha permesso di rimetterci in forza, poi è arrivato il momento di lasciare per sempre Birkenau, destinazione l'America, e precisamente Miami, dove sono stato affidato ad un orfanotrofio. Qui sono rimasto fino alla maggiore età, prima di lasciare la struttura e ricostruire la mia esistenza. Mi sono iscritto all'Accademia militare, sono diventato pilota della U.S. Navy e nel 1959 sono stato mandato alla base di Sigonella, in Sicilia. E' stato questo un passaggio importante, in quanto ho conosciuto un aviere italiano di Bologna, con il quale è nata una grande amicizia. Ho conosciuto la sua famiglia, stavo bene con loro e, inoltre, c'era lei, Gigliola, sua sorella, la ragazza che sarebbe diventata l'amore, l'unico amore della vita. Ci siamo sposati, abbiamo costruito assieme il nostro futuro. Lei è stata fondamentale per aiutarmi a superare i terribili momenti che avevo provato sulla mia pella. Sapeva tutto, per anni ha dovuto subire i miei incubi notturni, insieme abbiamo deciso di non raccontare nulla del lager ai nostri figli. Era una decisione presa per proteggerli da un passato che non riuscivamo ancora a rielaborare nel modo adeguato. Grazie a lei, alla fine, grazie alla sua presenza discreta e paziente, al suo spirito di sacrificio, ho compreso quanto sia grande il cuore di una donna. Il suo amore lentamente mi ha cambiato dentro; con lei ho riscoperto la passione per la vita. Tutto quello che la vita mi aveva tolto da piccolo, me lo stava restituendo con Gigliola. Lasciarsi alle spalle l'orrore di Birkenau e ricominciare a vivere serenemante è un'impresa che non si puà affrontare da soli. Lei è stata la mia ancora di salvezza; senza di lei non ce l'avrei fatta".

NEL 2005 LA PRIMA CONFERENZA
La morte della moglie, di nuovo quel senso di vuoto e poi nel 2005 la decisione di incontrare i giovani e le persone per raccontare la sua storia. "E' partito tutto da quando ho letto su un giornale la notizia che l'allora presidente della Repubblica islamica dell'Iran durante un discorso negava la storicità dell'Olocausto e dello sterminio degli oltre 6 milioni di ebrei. Non si poteva non reagire di fronte a questo - pensai - Non posso più tacere. Così nel 2005 ho tenuto la mia prima conferenza a Legnano. Ero emozionato, non riuscivo quasi a parlare, ma non mi sono perso d'animo, anzi avrei dovuto trovare un modo per aiutarmi a gestire meglio la commozione ed è nata l'idea di un testo scritto. Da allora gli incontri sono aumentati di anno in anno: ci tengo particolarmente ad incontrare i giovani perché, più il tempo passa, più c'è il rischio che la Shoah venga dimenticata, che non si colga più la gravità di quello che è stata la soluzione finale messa in atto nei lager, luoghi deputati al genocidio di massa, creati proprio nel cuore dell'Europa civilizzata e progredita del XX secolo".

L'INTERVISTA ALL'INGEGNER ARTALE

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