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martedì 07 maggio 2024 | ore 13:40

"Pantani era un dio..."

Il libro del giornalista de 'La Gazzetta dello Sport', Marco Pastonesi, sul campione di ciclismo. Nel decimo anniversario della sua morte: storie di corridori e di uomini.
Cuggiono - La presentazione del libro 'Pantani era un dio' (Foto Francesco M. Bienati)

Il Carpegna, la montagna. La sua montagna. Lì dove comincia il viaggio. Lì, dove Marco “Rinasceva, riviveva, si riappropriava della sua voglia di pedalare, dunque di essere”. Chissà, forse in molti si sarebbero aspettati che partisse dalla fine (“Ci ho pensato, non lo nego”): quella del corridore a Madonna di Campiglio (“anche se poi ha vinto ancora”); o quella dell’uomo, a Rimini (“anche se poi ha vissuto ancora”). Ma invece no, Marco Pastonesi (giornalista de “La Gazzetta dello Sport”) ha scelto proprio il Carpegna. Perché nella pagine di “Pantani era un dio” (il libro scritto dallo stesso giornalista, a dieci anni esatti dalla morte del “pirata”, e presentato l’altro giorno a Cuggiono, a chiusura della mostra “Da Sochi 2014 a Pantani, la grande fotografia dello sport”, organizzata dall’Asd Sport nel Cuore con il patrocinio del comune ed il sostegno di numerosi sponsor) non ci sono solo le storie del campione, le gare, le corse, ma ci sono soprattutto il ragazzo che diventa uomo, gli amici, i compagni di squadra, le persone che l’hanno amato e conosciuto; c’è il suo mondo, fuori dalla semplice competizione. “Mi ricordo il giorno che la casa editrice mi ha chiamato per chiedermi di mettermi al lavoro per un libro – dice Marco Pastonesi – Ho pensato subito al rugby (l’altra mia grande passione). Invece volevano che parlassi di Marco Pantani. Così, in un primo momento, ho detto di “no”: si è già scritto tanto. Pantani, poi, non era uno dei miei. Nessun campione, nessun capitano, nessun vincitore né vincente né vittorioso è uno dei miei. Cuggiono - Marco Pastonesi presenta 'Pantani era un dio' I miei sono i corridori che, da professionisti, non ne hanno vinta neanche una. Carriere immacolate, curriculum integri, stagioni intatte. Gregari che compiono il loro dovere dal primo all’ultimo chilometro. Gregari che miracolosamente trovano un piazzamento. Brignoli o Siboni, ad esempio, che senza “il pirata” non hanno trovato più un senso nel pedalare, nel recapitare borracce a capitani meno prestigiosi, talentuosi, grati e nell’assistere, nel comprendere, nell’assecondare sbalzi di umore e di forma. Eccoli i miei corridori; alla fine, però, stavolta mi sono detto “si”, proviamoci”. E i pensieri hanno presto lasciato il posto alle parole. “Ho cercato di capire, innanzitutto, perché i suoi gregari lo stimassero così tanto – continua Pastonesi – Ed ho scoperto che, non solo lo stimavano e lo stimano, ma gli volevano proprio bene e gliene vogliono ancora, più di prima. C’è anche pietà e compassione per una vita spezzata, dilaniata in fretta; ma in nessun collega ho trovato antipatia, rancore, inimicizia e rabbia. A volte lontananza. A volte fatalismo. Mai indifferenza. La tentazione era cominciare il libro da Madonna di Campiglio o da Rimini; alla fine ho scelto di partire dal Carpegna, la montagna di Pantani. Mi sono messo in bici e via, per conoscerla meglio e per conoscere quel mondo che aveva fatto parte della vita di Marco. E strada facendo ho recuperato ricordi, aneddoti; ho conosciuto persone che con lui avevano condiviso momenti e attimi. Ho raccolto le testimonianze di chi l’aveva accompagnato dentro e fuori dalle corse, con o senza dorsali. Ci sono le storie di Gordini e Vicini, Ronconi e Pambianco (i romagnoli), Bahamontes, Gaul e Massignan (gli scalatori) e Pezzi, tutti imparentati, più o meno alla lontana, con Pantani. Le pagine sono venute quasi da sé. Non c’è il bene e il male (il bene inteso come bicicletta; il male come il doping), ma c’è unicamente il mondo di un ragazzo diventato uomo. Di un atleta, che ha vinto “si e no” solo una trentina di gare nella sua carriera, diventando però fin da subito un campione ed un punto di riferimento. Conquistando il popolo del ciclismo come da tempo nessuno riusciva a fare”. (FOTO FRANCESCO MARIA BIENATI)

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