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Attimi di tensione nella mattinata di mercoledì 23 luglio presso gli stabilimenti di Leonardo a Sesto Calende, dove un’azione dimostrativa del comitato “Palestina Libera” ha portato a momenti di protesta e all’intervento delle forze dell’ordine. Intorno alle 10, tre attivisti sono riusciti a penetrare all’interno del perimetro aziendale, scavalcando i cancelli e raggiungendo l’insegna della società. Con vernice rossa hanno tracciato la scritta “Produce genocidio”, gesto simbolico accompagnato dall’accensione di fumogeni dello stesso colore, a rappresentare – secondo gli organizzatori – il sangue versato dal popolo palestinese.
Due manifestanti si sono incatenate a terra, bloccando l’accesso ai mezzi, mentre altre due persone sono salite sul tetto di uno degli edifici, dove hanno imbrattato l’insegna con ulteriore vernice rossa. L’intervento delle forze dell’ordine – Carabinieri e Polizia Locale – è stato tempestivo: gli attivisti sono stati fermati e l’area messa in sicurezza. Le forze dell’ordine hanno anche chiuso temporaneamente la strada di accesso agli stabilimenti per garantire l’incolumità dei presenti.
Gli attivisti, attraverso un portavoce, hanno motivato l’azione: «Non possiamo accettare che un’azienda italiana collabori con un governo responsabile di massacri e pulizia etnica. Gli italiani non vogliono essere complici di un genocidio solo perché conviene economicamente».
Contattata sull’accaduto, Leonardo ha scelto di non rilasciare dichiarazioni. A intervenire è stato invece il vicesindaco di Sesto Calende, Giorgio Circosta: «Attribuire la responsabilità dei conflitti ad aziende come Leonardo è fuorviante. Le cause sono più profonde, legate alla crescente aggressività degli Stati e al declino della diplomazia. Pur comprendendo le motivazioni ideali alla base della protesta, è il metodo scelto a non essere condivisibile. Ringrazio le forze dell’ordine e la nostra Polizia Locale per l’efficienza e la professionalità dimostrate nel gestire la situazione».
L’episodio riaccende il dibattito sul ruolo dell’industria bellica e sui legami economici internazionali, in un contesto geopolitico sempre più fragile e polarizzato.
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