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venerdì 29 marzo 2024 | ore 06:17

Don Albeni e la lotta partigiana

L'impegno e il coraggio esemplari di don Albeni, nel difendere i giovani e i partigiani, alla ricerca della libertà!
Cuggiono - Colonia Don Giuseppe Albeni Miazzina

Assistente dell’oratorio di Cuggiono, è fortemente preoccupato dell’educazione morale, sociale, politica dei suoi giovani. Afferma esplicitamente il dovere morale di opporsi, nel momento storico presente, alle ingiustizie e ai soprusi della dittatura fascista.
Profondamente convinto che il termine dell’azione formativa deve essere una vita sociale da tutti condivisa in libertà e democrazia, fin dal 1942 entra in contatto con i gruppi clandestini di diversa estrazione ideologica.
In quest’opera di educazione e di formazione morale e politica è aiutato dall’amico Luciano Vignati, dirigente di plaga dell’Azione Cattolica, futuro comandante partigiano.
Dopo l’8 settembre ‘43 organizza nei locali dell’oratorio i primi gruppi giovanili clandestini, accogliendo giovani anche dai paesi vicini, tra i quali il giovane Giovanni Marcora (“Albertino”), futuro comandante partigiano e futuro Ministro dell’Italia democratica.
Con grave rischio personale accoglie nella sua casa ricercati politici e razziali e aiuta il loro espatrio in suolo elvetico. E’ La sua carità sacerdotale che ospita il partigiano comunista Andrea Macchi, liberato con uno stratagemma dall’ospedale di Busto Arsizio dove si trovava gravemente ferito e piantonato. Non esita a trattenerlo in casa sua, proteggerlo, curarlo, fino quando riesce a procurargli un rifugio più sicuro.
Favorisce la nascita del nucleo partigiano di “Pian Cavallone”, costituito in un primo tempo solo da giovani dell’oratorio di Cuggiono, che portano a termine coraggiose azioni di sabotaggio e di guerriglia sui monti dell’Alto Verbano per rendere meno efficienti le strutture nazifasciste. Le visite al campo sono frequenti e durano alcuni giorni: don Giuseppe condivide la vita dura dei suoi giovani, continua presso di loro la sua opera di educazione morale e religiosa, e tornando al paese porta notizie ai familiari.
Profondamente convinto della necessità di unire tutte le forze per costituire un fronte unico contro la dittatura nazifascista, promuove la formazione del C.L.N. (Comitato Liberazione Nazionale) locale.
A questi giovani e a questi uomini che coraggiosamente si riuniscono in clandestinità, don Giuseppe si preoccupa di dare chiare idee e direttive per il domani. In un diario partigiano sono annotate queste sue parole:
“E’ vicina l’ora del trionfo, non del trionfalismo. Questa sera dobbiamo indicare con senso di responsabilità gli uomini che assumeranno compiti amministrativi locali...affinché per ‘quel giorno’ non ci siano vuoti di potere. In seguito, quando l’immenso numero dei deportati e carcerati tornerà alle loro case, si potranno indire elezioni democratiche...La libertà conquistata la difenderemo con le leggi, non la lasceremo più incustodita sul davanzale della storia…”.
Da queste affermazioni si deduce facilmente la grandezza morale e la capacità educativa di don Giuseppe.
Intelligenza aperta e profonda, dotato di una vasta sensibilità e di capacità artistiche, riusciva a sognare, come un poeta, anche quando viveva braccato sui monti, tra i suoi giovani. Un diario partigiano ci riferisce queste parole di don Giuseppe:
“Guarda che spettacolo!...Un giorno finirà questa guerra orribile, e allora torneremo in questi luoghi a dipingere; piazzeremo qui il cavalletto e resteremo dall’alba fino a sera senza più avere paura di essere braccati…”.
La polizia nazifascista lo ferma più volte, lo interroga, perquisisce la sua casa, ma ogni volta don Giuseppe riesce con prontezza e abilità a presentare degli alibi, a giustificare le sue azioni, i suoi trasferimenti e viene rilasciato.
Dopo avere personalmente accompagnato alcuni giovani sulle montagne dell’Alto Verbano, il 7 aprile ‘44, giovedì santo, viene arrestato.
Risponde con prontezza all’interrogatorio, convince circa la sua missione esclusivamente sacerdotale e religiosa, e dopo tre giorni di carcere viene rilasciato.
Il 7 luglio ‘44, militi delle Brigate Nere e tedeschi delle SS compiono un rastrellamento alla “Cascina Leopoldina”, sede del quartiere generale della Brigata “Gasparotto”. Al termine del rastrellamento i nazifascisti decidono di fucilare dieci partigiani, e per dare una lezione al paese, vogliono che l’esecuzione avvenga sulla pubblica piazza.
Don Giuseppe, il fondatore e il cappellano della Brigata “Gasparotto”, interviene con estrema fermezza riuscendo a salvare sei partigiani dalla condanna a morte. Quattro purtroppo vengono trattenuti, trasferiti a Milano, fucilati.
Il giorno successivo ai fatti della “Cascina Leopoldina”, don Giuseppe, che troppo si era compromesso in difesa dei suoi ragazzi, è costretto a lasciare Cuggiono.
Fino al 25 aprile ‘45 vivrà nascosto, fuggiasco, chiedendo ospitalità al Seminario di Venegono, ad alcuni Parroci amici, al fratello che aveva una tenuta presso Borgoticino.
Nonostante la vita clandestina, mantiene contatti con i nuclei partigiani dell’Alto Milanese e con quelli della Val d’Ossola, e con i suoi frequenti spostamenti diventa un prezioso ufficiale di collegamento e un corriere di informazioni riservate. In questa sua veste ufficiale di collegamento viene anche in contatto con una missione clandestina americana e favorisce aiuti e rifornimenti ai nuclei partigiani.
Con la forza della sua personalità e con l’ascendente che si era meritato, riesce a organizzare il passaggio dei poteri in Cuggiono senza che si verifichino fatti di sangue. Proprio come lui voleva: “Conquistare la libertà nella giustizia e applicare la giustizia senza fomentare odi tra la popolazione”.
Dopo il 25 aprile ‘45 è eletto all’unanimità presidente del C.L.N. locale e si deve a lui se a Cuggiono non si sono verificate vendette personali e azioni di rappresaglia.

ALBENI don GIUSEPPE
nato a Busto Arsizio (Va) il 10-11-1913
ordinato sacerdote a Milano l’11-6-1938
negli anni 1943-45 coadiutore a Cuggiono (Mi)
morto a Albizzate (Va) il 16-7-1961

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