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Diplomazia in uno Stato che non c'è

Rubrica 'Nostro Mondo' - Bandiera libica

Il 28 settembre, il commissario europeo ai Diritti Umani Muiznieks ha inviato una lettera al Ministro degli Interni italiano, Marco Minniti, esprimendo diverse remore riguardo all’accordo stipulato tra l’Italia e il governo di Tripoli lo scorso 2 febbraio, soprattutto perché non è garantito a sufficienza il rispetto delle norme presenti nella Convenzione dei diritti umani. L’intesa prevede, in sintesi, un “supporto tecnico” alla guardia costiera libica, con la clausola di migliorare le condizioni dei centri di accoglienza libici, condizione mai rispettata. Le stesse preoccupazioni di Muiznieks sono state espresse dall’alto commissario Onu per i diritti umani, Zeid Raad al Hussein.
Nell’ultimo anno, è stato alto l’attivismo diplomatico italiano sulla questione libica. Dopo un mese dall’accordo di febbraio, Minniti ha presieduto un vertice tra i vari clan del sud della Libia, al fine di fermare il flusso di migranti prima che giungano in Tripolitania. Il ministro ha anche più volte smentito la notizia che l’Italia paghi le numerose milizie irregolari per frenare il traffico di esseri umani. L’ipotesi sarebbe comunque poco lungimirante, poiché manca un governo in Libia in grado di neutralizzare, o regolarizzare, i vari gruppi armati. Il paese nordafricano, come è noto, è attualmente diviso in due parti: il Governo di Unità nazionale (Gna), presieduto da Fayez al Serraj e riconosciuto da buona parte della comunità internazionale, ha sede a Tripoli; a Tobruk, Khalifa Haftar è il leader dell’opposizione al Gna in Cirenaica. Entrambi non sono nelle condizioni di rivendicare il monopolio dell’uso della forza (uno dei presupposti dello Stato moderno), con la conseguenza che l’instabilità che ne deriva favorisce il proliferare di piccoli gruppi armati, nei quali prevale la logica settaria, e non facilita il definitivo annientamento dell’Is. Nonostante la perdita di Sirte, il gruppo terroristico può continuare a creare disordini, sia con attentati, sia spostandosi in aree più marginali. La tradizionale ostilità tra Tripolitania e Cirenaica può quindi dividere in maniera permanente la Libia in due parti. Dal 2012 la rivalità presente tra le forze che hanno destituito Gheddafi ha portato alla dissoluzione dello Stato; al momento la situazione sembra cristallizzata, eppure nessuna delle due fazioni in lotta riconosce, almeno non apertamente, la scissione avvenuta (si pensi ad esempio al nome, non casuale, scelto da Haftar per rinominare le tante milizie che, a fatica, controlla: Lybian National Army). Nonostante il generale Haftar sfoggi qualche caratteristica in comune con Gheddafi, tra cui la carriera militare e una certa eccentricità, non ha dalla sua parte una delle congiunture politiche fondamentali che hanno favorito l’ascesa dell’allora colonnello, ossia una monarchia fragile, fin troppo supina agli interessi occidentali. Deposto il re Idris nel 1969, Gheddafi ha potuto “mettere al sicuro” la rivoluzione usando l’anticolonialismo; tra i suoi primi atti, infatti, si ricordano la nazionalizzazione delle industrie petrolifere e l’espulsione della numerosa comunità italiana ancora presente nel paese. Su queste basi, l’ex raìs ha condotto, per diversi anni, una politica estera che è generoso definire avventurosa, appoggiando la causa di tutti i movimenti di guerriglia schierati “contro l’imperialismo”. Questi non sono lussi che Haftar può permettersi; nonostante il militare inizi ad avere un certo riconoscimento del suo ruolo in Libia anche da nazioni che non l’hanno appoggiato, il supporto garantito alla Cirenaica da Russia, Egitto ed Emirati Arabi Uniti limitano l’indipendenza del generale che, negli ultimi mesi, inizia a scendere a miti consigli; ne è prova la sua presenza, insieme ad al Serraj, al vertice di Parigi di luglio, convocato dal Presidente francese Emmanuel Macron. Sebbene sia entrato in vigore un cessate il fuoco tra le parti, la clausola “escluse azioni per combattere il terrorismo” potrebbe però provocare ulteriori scontri anche con gruppi armati non affiliati all’Is, o che non ne condividono necessariamente l’ideologia.
I singoli interventi diplomatici finora elencati sono unilaterali, pertanto manca un coordinamento che permetta di contrattare i reciproci interessi; con questi presupposti si scavalcano, naturalmente mai in modo esplicito, i tentativi di riconciliazione finora compiuti dal delegato Onu Ghassan Salamé. La corsa per occupare un posto di rilievo in Libia continua.

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