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venerdì 19 aprile 2024 | ore 13:14

Intervista a Placido Di Stefano

Musico - Placido Di Stefano

Dal 'sottofondo letterario undreground' alla scrittura 'onesta' cerco di essere coerente con me stesso. Placido Di Stefano
Diplomato in scrittura drammaturgica alla Paolo Grassi di Milano, scrive narrativa contemporanea e ha vinto diversi premi negli anni scorsi con una serie di racconti. Due sono i suoi libri pubblicati, ma in realtà ha appena terminato il quinto romanzo. Lui è Placido di Stefano che incontro tra canzoni, messaggi e fiumi di parole al telefono.
Come vieni ispirato nel tuo scrivere?
Per quanto riguarda il mio scrivere si può dire che perseguo da sempre un progetto. Una poetica. Mi sembra di avere sempre avuto un percorso ben delineato da seguire. Le mie storie sono unite da un fil rouge. Da una comunanza di intenti. Sono cresciuto in un quartiere difficile. Ci ho abitato dai quattro ai quattordici anni. E in quel periodo ho visto di tutto. La mia formazione me la sono fatta semplicemente guardandomi attorno. Era la fine degli anni settanta. E in quel quartiere capitava ogni giorno qualcosa di sconvolgente (stupri – rapine – spaccio – etc). Una volta diventato “adulto” ho ricercato quelle storie che mi hanno impressionato da piccolo. E le ho cercate nelle periferie. Nei posti estremi. E nei miei testi (soprattutto in quelli “periferici”) ho creato (appositamente) personaggi che potessero coesistere in quelle ambientazioni. Personaggi che nella vita comune potrebbero tranquillamente essere definiti marginali. O difficili. O borderline. Negli ultimi anni (vista anche la maturità) ho cambiato prospettiva. Ma sto sempre attento al cosiddetto “uomo della strada”. Ovvero colui il quale ogni mattina si alza e va al lavoro e vive una quotidianità fatta di cose normali. Per il resto leggo. Mi guardo intorno. È la vita che mi circonda l’ispirazione per i miei scritti.
C'è un po' di tuo nei tuoi romanzi?
C’è sempre un po’ di mio nei miei romanzi. Penso che ogni autore potrebbe rispondere a questa domanda allo stesso modo. Naturalmente il tuo vissuto rientra quasi per forza nei testi che vai a trattare. Anche se poi lo trasformi. Trasferisci in ciascun personaggio qualcosa di te. Ricrei ambienti che (perlomeno) conosci o sui quali ti informi (adesso con Google Maps si può girare il mondo pur stando seduti a una scrivania). Anche quando crei mondi “fantastici” o non per forza reali ti rifai a cose e ad ambienti che conosci per poi trasformarli a tuo piacimento. I personaggi parlano in modo diverso l’uno dall’altro ma hanno tutti qualcosa del tuo lessico. O hanno peculiarità che sono le tue o quelle di un tuo amico o un tuo parente. Ogni storia è un pezzo di te e del tuo mondo. Anche se poi il trucco sta nel mimetizzarsi e nel non farsi rintracciare.
Definisci il tuo un 'sottofondo letterario underground'. Perchè?
Potrei risponderti dicendo che i primi romanzi trattano storie periferiche e quindi giocoforza il mio sottofondo letterario è underground. Ma non è solo una questione di ambientazione. È anche una questione di stile. Di un certo tipo di ricerca. Di collegamenti. Quando ti rifai a un determinato “mondo” in genere sei anche un autore che utilizza uno stile che lo riproduce (quel determinato “mondo”) senza forzature e senza finzioni. Nei primi periodi di letture massive (intorno ai vent’anni) tra classici e contemporanei mi sono imbattuto in una serie di scrittori nei quali mi riconoscevo o perlomeno riconoscevo un particolare stile. Erano quasi tutti autori considerati “underground” che nel novecento sono emersi e hanno lasciato il segno imponendo il loro stile. A questo aggiungi tanti interessi correlati quali: cinema, musica e arti figurative (mi sono appassionato e ho studiato artisti e correnti artistiche la cui comunanza stava nel fatto di essere di rottura o alternative rispetto alla cultura dominante). I miei punti di riferimento sono sempre stati autori considerati outsider o indie (nel senso indipendente nel termine). Coloro i quali hanno lottato per imporre il loro stile e lasciare la loro particolare impronta. Nel mio piccolo sto cercando di fare la stessa cosa: rimanere fedele a me stesso. Al mio sottomondo stilistico.
I tuoi libri pubblicati sono: il romanzo erotico 'AMAMI' - Love Two Times nel 2007 (finalista al Premio Calvino da inedito nel 2004 e finalista al Premio Carver da edito nel 2008) e il romanzo grunge 'L'ANTIBAGNO' nel 2015 (finalista al premio Nabokov).
Hai scritto prima il libro che è stato pubblicato dopo. Qual è il percorso dei tuoi scritti?

Il percorso dei miei libri ha un senso temporale per chi scrive (il sottoscritto). Purtroppo non segue lo stesso percorso chi pubblica. Il tutto è legato al fatto che “L’Antibagno” (il primo romanzo scritto in ordine temporale) all’inizio non se l’è filato nessuno (è anche vero che non era strutturato come l’attuale e il personaggio principale non aveva le stesse caratteristiche). Ragion per cui a un certo punto ho scritto “Amami”. E “Amami” mi ha dato ragione (e anche qualche piccola soddisfazione). Ovvero è arrivato in finale al premio Calvino da inedito. È stato pubblicato da una casa editrice minore ma storica come la peQuod (che tra gli altri in passato ha pubblicato: Giuseppe Genna – Marco Desiati – Diego De Silva – Marco Mancassola – tutti autori poi passati in Mondadori o Einaudi). È arrivato in finale al premio Carver da edito. Ha avuto buone recensioni. Etc. Insomma ha avuto un suo riscontro positivo. Nel frattempo mi sono messo a scrivere un terzo romanzo: “Fermata Inganni”. E con questo testo nel 2009 ho addirittura passato le letture in Mondadori. Ma poi qualcosa non è andato per il verso giusto. Ho perso qualche anno in attese vane. Rifiuti vari. Dopodiché ho ricontattato peQuod che – nel 2015 – ha pubblicato “L’Antibagno”. In questi ultimi anni ho scritto altri due romanzi. Nel frattempo sto rimettendo ordine a “Fermata Inganni” per una prossima pubblicazione (e anche per ristabilire un certo ordine temporale a un lavoro che – comunque sia – nella mia evoluzione di scrittore un senso ce l’ha).
Crudo, a tratti brutale e commovente, è il romanzo erotico 'Amami'. E' un continuo passaggio tra presente e passato e alcune pagine sono molto dure tanto da fare male. Come nasce questa storia?
La storia nasce da fatti di cronaca letti negli articoli di giornale ma anche da storie sentite da persone che hanno subito violenze nella loro infanzia. Avevo in mente di ambientare il tutto tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli anni ottanta in un quartiere periferico. La storia doveva trattare solo il periodo dell’infanzia/prima adolescenza del protagonista. Mentre stavo strutturando le prime pagine – in quelle settimane – è uscito “Dei bambini non si sa niente” di Simona Vinci – un romanzo che trattava le stesse tematiche (un gruppo di adolescenti in un quartiere periferico che scoprono il sesso e la violenza ad essa correlata). A quel punto preso dallo sconforto ho interrotto la stesura del testo. Pensavo di non scrivere più quella storia – di lasciarla perdere (qualcuno l’aveva scritta prima di me). Poi un pomeriggio d’estate mentre ascoltavo “Love me two times” dei Doors ho avuto un’illuminazione. Amami. Amami due volte. Ho immaginato il protagonista della vicenda da adulto. Mi sono chiesto: come si comporterebbe e cosa farebbe una vittima di abusi se anni dopo – da adulto – dovesse incontrare (per caso) il suo aguzzino? Dopo essermi fatto quella domanda ho cominciato a scrivere il romanzo. A quello ho aggiunto il fatto che l’uomo è appena uscito da un matrimonio poco felice. Che si ritrova in un periodo particolarmente difficile della sua vita. Etc. È bastato cambiare prospettiva. E il resto è venuto da sé.
L'essere inserito nel ramo 'romanzo erotico' credo non sia del tutto corretto. Cosa ne pensi?
Secondo me è stato un errore connotare il romanzo in quei termini. Qualcuno che si occupa di classificare e ripartire in generi ha pensato di scrivere “romanzo erotico”. Ma il romanzo è tutto fuorché erotico. È stato definito un romanzo di formazione. Una storia dalle tinte cupe. Io lo definirei un libro “dark” giusto per classificarlo in qualche modo (e anche per rimanere in un ambito di catalogazione musicale visto che “L’Antibagno” si può definire a tutti gli effetti un romanzo grunge). Nel romanzo il sesso è presente. Ma la trattazione che ne viene fatta è negativa. Infatti l’esperienza che viene descritta è correlata alla violenza. Nulla fa intendere a cose come la morbosità o la voluttuosità del sesso. Anzi.
“Questa è la storia di me che c’ho le paranoie. È la storia di me che ho solo un amico, Ale, che fa il pusher e nasconde la roba in casa mia. E poi lavoro in un magazzino di merda dove vengo sempre insultato dalla moglie del capo. E allora questa vita mi faceva schifo e stavo quasi per farmi fuori. Ma poi ho incontrato lei. E con lei all'inizio è stato bello. Ma poi lei... E allora io non ci ho capito più niente. Niente.”
Dal booktrailer del libro di Placido Di Stefano 'L'Antibagno', finalista al premio Nabokov. È stato definito 'evanescente e spiazzante', 'dal sapore underground' e ' 'fuori dagli schemi'. Ci presenti 'L'Antibagno'?

“L’Antibagno” è un romanzo che nasce da un lavoro teatrale. Era una sorta di dialogo tra più personaggi che stazionavano per qualche minuto (a gruppi di due) nell’antibagno di un bar. Si specchiavano. Si lavavano le mani. Parlavano tra di loro. E dialogando “costruivano” le loro storie. C’erano due personaggi in particolare che risaltavano sugli altri. E quei due personaggi sono i “superstiti” di quel testo teatrale che ho utilizzato per costruire il romanzo. Naturalmente da quell’antibagno (un luogo reale ma anche metafisico – con tinte beckettiane) ho poi creato un mondo circostante. Ovvero: il quartiere O. Un quartiere che si trova nella periferia di una grande città. Milano. La mia città prediletta (ci ho costruito dentro e attorno tutti i miei romanzi). Ho strutturato i due personaggi dandogli una forma e una connotazione ben precisa. Ne ho “costruiti” altri. Ho ideato un plot che narra le vicende di un ventottenne paranoico ossessivo che ha la passione per l’espressionismo austriaco e la musica grunge. Un tipo solitario che ha un solo amico: Ale: un pusher che nasconde la “roba” nell’appartamento di V. – il protagonista del romanzo (M.K. invece è la protagonista femminile). Tutto il romanzo è un costruito sull’incontro/scontro di questi tre personaggi (V. – M.K. – Ale) che cercano di barcamenarsi in questo difficile percorso che è la vita.
Chicca per 'L'Antibagno' è che è un romanzo con una sorta di colonna sonora, che spazia dai Nirvana ai Pearl Jam, dai Cure ai Marlene Kunz. Ci racconti nello specifico questa scelta?
La scelta è dovuta al fatto che ho voluto rendere omaggio (con citazioni varie) alla musica dei miei vent’anni. Ovvero la mia musica preferita (da fruitore). Quella che ha contribuito alla mia formazione. Il protagonista del romanzo (V.) è un amante della musica grunge. La musica in questo romanzo ha una funzione salvifica. Ma funge anche da colonna sonora. Ho un amico poeta che struttura le sue poesie cercando di “contaminarle” con altri media (video – musiche amplificate – voci registrate – etc). Volevo fare una cosa del genere con il mio romanzo. Ogni capitolo inizia con una citazione musicale. Qualche lettore (a quanto mi è stato riferito) ha letto i brani del libro ascoltando le canzoni citate nel testo. Mi piaceva l’idea di abbinare uno stile musicale al mio stile di scrittura. Spero che l’esperimento sia riuscito.
Ti senti un po' dissociativo? Nello specifico, esistono in te due personalità distinte o è frutto di un'apertura mentale molto ampia?
Chiunque si occupi di , o musica, o qualsiasi altra forma espressiva (quindi anche artigianale o comunque qualsiasi lavoro che necessiti di una certa dose di creatività) è in qualche modo dissociato. È come se in noi agissero diverse personalità o diverse “parti” del nostro subconscio. Ognuna preposta alle diverse occupazioni o interazioni che si susseguono nel corso della giornata. Delle volte (ragionandoci in modo oggettivo o distaccato) mi rendo conto che il Placido che scrive è diverso dal Placido che lavora in ufficio o dal Placido che si interfaccia con gli altri (amici o parenti o colleghi etc). Ma in tutto questo ti posso anche dire che ritengo di avere un’apertura mentale piuttosto ampia visti i miei numerosi interessi. In conclusione ti posso dire che le diverse parti del mio ego sostengono un ego superiore il cui edonismo si soddisfa con il bisogno di sperimentazione e di dissociazione. È abbastanza contorto come ragionamento? Quale parte di me ha risposto a questa domanda?
Perché è così difficile trovare uno spazio?
Perché il mondo editoriale è cambiato. È semplice. Su questo discorso potremmo parlare per ore. Scrivere pagine. Libri interi. Io faccio parte di quella categoria di scrittori che a prescindere dalle storie che scrive utilizza uno stile particolare. Un’alchimia sintattica che è propria dell’autore. È intrinseca in chi scrive. Negli anni scorsi lo stile di uno scrittore era considerato il suo tratto peculiare. Una delle caratteristiche che veniva esaltata. Adesso non è più così. Quando faccio leggere i miei testi a persone dell’ambiente editoriale spesso mi viene detto che il mio stile potrebbe essere una discriminante rispetto a un’eventuale accettazione o meno di un mio romanzo da parte di una grande casa editrice. Mi è capitato di leggere un articolo (recentemente) nel quale si diceva che lo stesso Pasolini oggi avrebbe difficoltà a farsi pubblicare da una casa editrice come la Garzanti. Al giorno d’oggi c’è un appiattimento generale (in particolare nel mondo della cultura) che tende verso il basso. Ti posso fare l’esempio della cinematografia contemporanea (giusto per rimanere in un ambito di fruizione comune). Molti dei film che vengono proiettati nelle multisale sembrano fiction televisive con inquadrature piatte (o da scuola del cinema) e con dialoghi insignificanti che sembrano scritti da autori televisivi da salotto. Non riesci a riconoscere un regista (o uno sceneggiatore) dall’altro. A parte qualche rara eccezione. Lo stesso capita per i libri. Leggiamo storie scritte tutte allo stesso modo. L’autore è ridotto a mera comparsa. Leggiamo il suo nome sulla copertina. Ma in fondo è un’entità astratta che si è autoeliminata o si è ormai estinta.
Quanto è importante per uno scrittore raggiungere un proprio stile?
Proseguo il discorso che ho incominciato ad accennare nella domanda precedente. Per quanto mi riguarda lo stile viene prima di ogni cosa. A volte ci si illude (soprattutto nel romanzo di genere) di scrivere storie originali perché magari si è creato un plot ingarbugliato o enigmatico o una narrazione con personaggi fuori dalle righe. Ma tutto ciò spesso viene portato sulla carta con scarsi risultati stilistici (poiché ci si concentra troppo su altri aspetti del testo rispetto allo stile). Io tento sempre una mediazione. Ovvero scrivere una storia interessante dal punto di vista del plot (almeno ci provo) seguendo i miei dettami stilistici. Spero si capisca tutto il lavoro che c’è sotto (il lungo lavoro dell’affinamento stilistico e della ricerca sul linguaggio). In tutto questo (in questo mio lungo percorso ormai trentennale) spero di non snaturarmi e di rimanere sempre fedele alla mia cifra stilistica.
Cinque romanzi scritti, due pubblicati. Cosa ti aspetti da scrittore?
La pubblicazione degli altri tre. È ovvio. Ma anche dei molti altri che verranno (ghignatina ironica dell’autore). Se fosse possibile tutto ciò – ovvero una pubblicazione dopo l’altra – ben venga. Se no. Va bene lo stesso. In fondo amo fare quello che faccio. E arrivato a 45 anni posso dire che va bene così. Succeda quel che deve succedere (sono comunque soddisfatto di quanto ho fatto finora). Naturalmente ambisco a pubblicare anche con case editrici importanti. Ma solo per una questione di visibilità. Tutto qui. Anche se a volte mi chiedo: ma è davvero così importante? E non so darmi risposta.
Chi ha letto i tuoi romanzi li ha 'divorati' nel vero senso della parola. Perché leggere Placido Di Stefano?
Qualcuno ha definito la mia scrittura onesta. Cerco di non mentire e di rimanere sempre e comunque coerente con me stesso e con il mio stile. Può bastare?

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