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C’è un momento, ogni anno, in cui Milano — e con lei tutti i territori ambrosiani, anche quelli più piccoli e di provincia — si ferma ad ascoltare. È la sera del 5 dicembre, vigilia di Sant’Ambrogio, quando l’arcivescovo Mario Delpini pronuncia il tradizionale discorso alla città. Un appuntamento che non è mai soltanto un rito, ma uno sguardo lucido su ciò che siamo e su ciò che potremmo diventare.
Quest’anno il titolo scelto è stato chiaro fin da subito: “Ma essa non cadde. La casa comune, responsabilità condivisa”. Una frase che richiama la parabola evangelica della casa costruita sulla roccia e che Delpini ha usato come metafora per raccontare lo stato di salute delle nostre comunità. La domanda di fondo è semplice, ma decisiva:
la casa in cui viviamo — la città, il tessuto sociale, i nostri legami — poggia su fondamenta solide o su sabbia che rischia di sgretolarsi alla prima tempesta?
Le crepe nei muri: i segnali di una casa che scricchiola
Delpini non ha girato attorno ai problemi. E, come spesso accade nei suoi interventi, ha parlato con parole semplici, quasi quotidiane, capaci di fotografare una realtà che tutti vediamo, ma che spesso preferiamo non nominare.
Ci sono i giovani che faticano a immaginare il futuro. Una generazione che si sente sospesa, incerta, con poche occasioni e tante paure. “Non è che non vogliono diventare adulti — è che nessuno offre loro un terreno stabile su cui costruire”, ha detto.
C’è il tema della casa: case che diventano investimento e speculazione, più che luoghi da abitare; affitti fuori portata, città che finiscono per escludere proprio chi le tiene vive.
C’è una sanità che arranca, tra liste d’attesa impossibili e un welfare che rischia di diventare frammentato, sempre più sbilanciato verso il privato.
C’è il mondo del carcere, spesso dimenticato, dove troppo spesso si perde di vista dignità, recupero, second possibilità.
E c’è, ha aggiunto con forza, un capitalismo malato, fatto di avidità e indifferenza, che trasforma tutto in occasione di guadagno, anche ciò che dovrebbe restare umano, gratuito, condiviso.
È un elenco che pesa, e che non riguarda solo Milano. Chi vive nelle nostre comunità — da Castano a Cuggiono, da Mesero a Inveruno — ritrova molti di questi segnali nelle storie dei paesi, delle famiglie, dei ragazzi che incontriamo ogni giorno.
Chi tiene su la casa: il valore di chi si fa avanti
Ma il discorso non si è fermato alla denuncia. Delpini ha indicato un’altra via, più silenziosa ma decisiva: quella delle persone che, senza clamore, continuano a “tenere su la casa”.
Sono gli insegnanti che credono nei ragazzi anche quando i numeri non tornano.
Gli imprenditori che rifiutano scorciatoie e scelgono la correttezza come regola.
Gli operatori sanitari che ogni giorno cercano di riparare una sanità che scricchiola.
Gli amministratori che provano a mettere al centro le persone, non gli slogan.
I volontari che non si arrendono alla logica del “tanto non cambia nulla”.
E poi — ha ricordato — ci sono i cittadini comuni. Quelli che magari non salgono sul palco, ma che costruiscono ogni giorno fiducia, accoglienza, senso del bene comune.
Un messaggio che vale per tutte le nostre comunità
Pur parlando a Milano, il discorso di Delpini sembra scritto anche per noi, per le nostre piazze e i nostri paesi. Perché i problemi che ha elencato — casa, giovani, fragilità, disuguaglianze — toccano da vicino anche il nostro territorio. E perché la sua conclusione è un invito che ciascuno può prendere sul serio:
non basta aspettare che qualcuno aggiusti tutto. La casa comune resta in piedi se ciascuno decide di “farsi avanti”.
È un messaggio sobrio, senza trionfalismi. Ma proprio per questo, forse, è il più necessario.
E ci ricorda che costruire una comunità resistente non è un compito delegabile: è un lavoro fatto di gesti quotidiani, responsabilità condivise, scelte che parlano più delle parole.
In fondo — sembra dirci Delpini — non abbiamo bisogno di eroi.
Abbiamo bisogno di persone affidabili.
Di fondamenta solide.
E del coraggio, semplice e concreto, di continuare a prenderci cura della nostra casa comune.
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