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giovedì 18 aprile 2024 | ore 20:14

L'albero del pane

"I miei nipotini oggi mi hanno fatto proprio felice, mi hanno portato un cartoccio con delle caldarroste dicendomi che così mi sarei ricordato dei miei alberi del pane...".
Trucioli di Storia - L'albero del pane

"I miei nipotini oggi mi hanno fatto proprio felice, mi hanno portato un cartoccio con delle caldarroste dicendomi che così mi sarei ricordato dei miei alberi del pane. E sì i miei alberi, quelli della mia gioventù, il mio castagneto che ha sfamato tutta la mia famiglia negli anni in cui non c’era granchè da mangiare. Quand’ero piccolo infatti abitavo sulle colline del piacentino. In estate era bellissimo, le giornate erano lunghe, calde, non afose e serene, ma soprattutto c’era tanto da mangiare. L’orto del papà offriva tantissima frutta e verdura, i polli ed i conigli arrostiti non mancavano ed i dolci della mamma grazie alla tanta frutta erano sempre diversi e buonissimi. L’inverno però era duro, l’orto non offriva più niente, gli animali ormai scarseggiavano, i dolci senza la frutta non si potevano più fare ma per fortuna avevamo un grosso castagneto che ad ottobre cominciava ad offrirci i suoi buoni frutti: le castagne. Dal raccolto di quegli alberi dipendeva la nostra sopravvivenza all’inverno. La raccolta non era facile, i ricci pungevano, avevo sempre qualche spina nella dita ma non potevo lamentarmi, anche noi bambini dovevamo dare il nostro contributo alla raccolta. Ero però invidiato da tanti miei amici, nonostante dovessi lavorare e non potessi giocare con loro, perchè possedere un castagneto a quell’epoca significava essere ricchi. Ecco perchè i miei nonni quegli alberi li chiamavano gli alberi del pane. Da ottobre in poi, infatti, in tavola c’erano quasi esclusivamente castagne. La mamma e la nonna in cucina si davano sempre un gran da fare per comporre il pranzo e la cena con solo quell’unico ingrediente che doveva sfamare me, i miei tre fratelli, mamma, papà, nonno e nonna. Si cominciava allora ad avere la colazione con latte e castagne bollite, il pranzo con la polentina o le tagliatelle di castagne alla domenica, la merenda con la farina di castagne secche o qualche castagna arrostita sulla stufa a legna, la sera con la zuppa di castagne e qualche verza bollita. Il nostro menù era sempre quello per tutto l’inverno tranne l’aggiunta del dolce castagnaccio per festeggiare le domeniche o le feste comandate. Perfino nella calza che mi veniva regalata a Natale c’erano le castagne, quelle secche da tenere in bocca come fossero caramelle. Quante ne abbiamo mangiate e quanto ci sembravano buone! nessuno si lamentava che fossero sempre e solo castagne, per noi era davvero come avere tanto pane.
Mi ricordo ancora la gioia di quando portavamo al mulino le castagne secche e ne uscivamo tutti infarinati con i tanti sacchi di quella dolce farina. Quanto ci sentivamo ricchi nel poter barattare un chilo di castagne con un chilo di farina di mais, che gioia era poterla portare alla mamma e per un giorno avere la polenta gialla anziché quella di castagne. Quanto eravamo ricchi di quel niente...!". (Nonno Gino, fine anni ‘40)

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