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Imprese, Livolsi: Innovare davvero, priorità che Italia non può rinviare

"L'Italia - continua - pur disponendo di eccellenze industriali riconosciute, non riesce tuttavia a mantenere il passo dei principali player mondiali".
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"Le imprese italiane si trovano a operare in uno scenario in cui la capacità di rinnovarsi è diventata imprescindibile, ma anche più complessa da perseguire. Le tecnologie evolvono con grande rapidità, la pressione dei concorrenti internazionali cresce e le scelte dei governi, in molte aree del mondo, influenzano sempre di più le catene del valore e le condizioni di mercato. L'innovazione non è più soltanto una leva strategica: è ciò che consente di restare nella fascia alta dell'economia globale". L'analisi di Ubaldo Livolsi, professore di Corporate Finance e fondatore della Livolsi & Partners S.p.A..

"L'Italia- continua- pur disponendo di eccellenze industriali riconosciute, non riesce tuttavia a mantenere il passo dei principali player mondiali. Nel nostro Paese la diffusione delle tecnologie digitali e dell'intelligenza artificiale rimane ancora limitata: solo l'8% delle imprese utilizza applicazioni di AI (Commissione europea, 2025) e appena il 45,8% degli italiani possiede competenze digitali di base, contro una media Ue del 55,6% (Istat/Eurostat). Una parte delle difficoltà deriva dall'ambito internazionale: mentre alcune grandi potenze accelerano con politiche industriali molto assertive, l'Europa procede in modo più cauto e rischia di accumulare un ritardo strutturale nei fattori che determineranno la competitività dei prossimi decenni".

"È vero che il Governo Meloni ha riportato ordine nei conti pubblici - un risultato riconosciuto anche dagli osservatori internazionali - ma il risanamento finanziario, da solo, non basta a mettere il Paese nelle condizioni di recuperare terreno sul fronte dell'innovazione- dice ancora Livolsi- Incide anche un elemento interno: la scarsa continuità degli strumenti di sostegno alle imprese. Negli ultimi anni misure importanti, come i crediti d'imposta, la Transizione 4.0 e le agevolazioni fiscali agli investimenti, sono state spesso riviste, ridimensionate o confermate solo per brevi periodi. Questa variabilità rende difficile pianificare interventi pluriennali, soprattutto per chi deve decidere se ripensare un'intera linea produttiva, adottare nuove tecnologie o puntare sulla crescita delle competenze. Come ha osservato di recente Ferruccio de Bortoli su 'L'Economia', le imprese devono per giunta fare i conti con un ambente normativo in movimento continuo, in Italia e all'estero. Regole non omogenee, standard non allineati e interventi regolatori multiformi complicano la programmazione e accrescono i costi. Quando lo scenario diventa meno prevedibile, anche la volontà di investire in innovazione tende a indebolirsi. Un rischio che l'Italia non può correre, soprattutto mentre l'effetto espansivo del Pnrr - pari a +0,8 punti di Pil nel 2025 e +0,6 nel 2026 - andrà attenuandosi (fonti: Confindustria e Fmi)".

"Per cambiare- conclude- rotta servono tre passaggi. Primo: un sistema stabile e pluriennale di incentivi agli investimenti tecnologici e produttivi, che dia certezza alle scelte aziendali. Secondo: un impegno più deciso sulla formazione tecnica e sulle competenze digitali, ancora insufficienti rispetto alla domanda reale.

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