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giovedì 25 aprile 2024 | ore 22:28

Valeria... "Sono una tosta, ma non chiamatemi guerriero”

Curiosa, ribelle e un po’ matta. Testarda, sognatrice e romantica. Detesta la noia e ama i funghi e i gatti. Beh, come darle torto: la giovane Valeria lo fa di cognome (e non sono le fusa).
Storie - Valeria Gatti

Durante la nostra videochiamata, interviene Ace: un micetto bianco candido dagli occhi eterocromatici, uno verde acqua e l’altro azzurro. Si accoccola tra le gambe della sua padroncina e prende nota, come me. “E’ un viaggio lungo, spero di non annoiarti”, precisa Valeria sfoggiando un sorriso sincero. Del resto, l’avevo già conosciuto sui social, giorni prima. Oltre alle pose che la ritraggono a computer, in mezzo alla natura e con i suoi affetti, mi aveva colpito l’ultimo post della trentunenne: il 21 gennaio, Valeria, pubblicava un selfie incoraggiante che si seguito semplifico. “Il lunedì è un giorno difficile, però ho avuto una bella notizia: l’ultimo esame svolto, mostra che la chemio ha fatto il suo dovere”. Un annuncio che ha spiazzato i suoi contatti, i quali hanno prontamente commentato affinché le arrivasse un sostegno, un abbraccio. E lei, che nella rete ci lavora, ne sa qualcosa: “ho instaurato molte amicizie e le ho dapprima fondate sulla lealtà”, spiega Valeria, “sentivo la forte necessità di mostrarmi al naturale e così ho fatto”.
Ma facciamo un passo indietro. Cosa ha affrontato Valeria? Soprattutto, da dove proviene il suo spiccato senso dell’umorismo? C’è una figura molto importante, alla quale la giovane si è spesso aggrappata e si chiama Paola, mamma Paola. Lei tempo addietro, è stata malata di cancro e per ben due volte ne è uscita vittoriosa. “Sono molto affezionata alla mia famiglia, da mamma, papà a sorella maggiore”, racconta con gli auricolari Valeria, con una dolcezza da piccola di casa, nonostante oggi conviva; “in età scolare, mi spaventai: l’idea che il tumore potesse colpirci, mi diede il tormento”. E spesso i figli assorbono i problemi che i genitori devono affrontare: ci sembrano eroi, ma poi quando li sorprendi in lacrime o con la testa fra le nuvole, inconsciamente il cruccio diventa anche tuo. La loro è sempre stata una famiglia molto unita e dopo oltre due ore di conversazione, ho evinto molte sensazioni positive, come Valeria. Il sospetto di familiarità, c’era e oltremodo dava a lei un motivo in più per indagare e sceglie di farlo tramite l’analisi dei geni BRCA1 e BRCA2.
“Nell’ottobre del 2019, ho avvertito come una pallina, localizzata al seno sinistro. Non sapevo capacitarmi di cosa fosse, tant’è che non mi lasciò indifferente”, procedere Valeria, “s’ingrossava e assumeva sembianze che al tatto la facevano chiaramente rilevare”, riporta la protagonista di una storia che a tratti può sembrare surreale. “E lo è, Viviana. In realtà, non saprei neppure come definirla, ma di una cosa sono certa: quando si ha un dubbio, bisogna agire per toglierselo”, rammenta con un tono imperativo.
Di ospedale in ospedale, Valeria non otteneva le sue certezze. Dalla stanza, usciva solo con ulteriori dubbi che accrescevano nel caos che la circondava. Quella ghiandola su cui Ace e Law, l’altro peloso di casa poggiavano, gliel’avevano aspirata ma in seguito le si era ripresentata. “Nessuno sapeva darmi delucidazioni e quindi le mie perplessità in fatto di capire con chi interfacciarmi, mi mandavano in paranoia”, confessa la giovane.
Nel frattempo, Valeria lavora, instancabilmente presso un ristorante e serve piatti per quaranta ore alla settimana. In pochissimi sapevano del suo calvario e la giovane, negli occhi dei clienti, notava sentimenti lodevoli. Tenersi impegnata tra pizze e portate, le davano la carica: con i suoi foulard colorati, portava gioia ai commensali, cortesi e riconoscenti, come lo era il suo sorriso che abbatteva le fatiche. Il primo luglio 2020, Valeria, iniziava il suo ciclo di chemio: quattro rosse e dodici bianche, come le definisce lei. Tradotto: le prime, erano più forti, mentre le altre meno.
Nonostante il Covid, che peraltro ha fatto, il caldo estivo e le sue terapie oncologiche a cui sottoporsi ogni ventuno giorni, Valeria non ha mai ceduto. Sprizzava allegria e gioia, poiché alla lettura del medico, rispetto al suo referto, si era fatta una promessa: io voglio vivere.
“In quel frangente, ero parecchio agitata ma sapevo di trovarmi in buone mani”, conferma fiera. Le mani che le leggevano gli esami sbrigati nel breve arco di tre settimane, erano quelle dell’equipe monzese, del Policlinico, a una mezz’ora da casa sua, a Cesano Maderno. Una rete stretta, in cui un’amica di famiglia, le aveva dato quel contatto, rivelatosi utile per la sua cura: “quando mi reco lì, non sembra di andare in ospedale, ci sono pavoni, anatre,…”. Valeria li ha immortalati e nelle sue stories di Instagram, come a volerli custodire caramente. La Gattina, come sono soliti soprannominarla in reparto, è orgogliosa del personale che ha conosciuto: “al di là della loro professionalità, sono grata anche alle nuove conoscenze nate durante un’attesa e l’altra”, riporta con quel garbo che non viene mai meno. Si è recata al Policlinico per otto mesi e al suo ritorno, dava le dovute carezze ai suoi mici, preparava la cena e andava al lavoro e ricordava l’umanità con cui l’avevano accolta.
E lì l’umanità è una caratteristica: gli infermieri domandano ai pazienti se hanno bisogno di un pezzo di pane o di un piatto di pasta e l’affabilità la donano da quel camice che indossano con amore. “Mi intrattengo con tante donne e anche con uomini spesso più introversi. Si parla di cose banali, pur di ridurre il tempo che manca alla terapia”.
Lo stesso tempo a cui non badava quando serviva ai tavoli. Ora se ne parla al passato, visto che il contratto è terminato e Valeria risulta invalida al 100%, “ma non ho disabilità fisiche, motorie o psichiche”, specifica nel suo curriculum, ricco di esperienze e studi. “Spesso sono gli altri a porsi dei limiti, delle barriere”, interviene Valeria, “alle volte si ha il timore di arrecare un’ingiustizia o sentirsi un peso, ma in realtà sono pregiudizi della società stessa”.
Martedì 16 febbraio, sarà una data importantissima: Valeria si sottoporrà ad una mastectomia del seno sinistro. Una scelta temeraria e dettata dall’indagine iniziale che verteva sulla genetica. Stesso coraggio per quella lunga treccia che Valeria scelse di tagliare di netto, dalla sua parrucchiera per “donarla a chi occorresse”. Tre mesi dopo, esattamente il 16 maggio, Valeria compirà 32 anni e sarà una data da segnare in calendario: rinascerà a 32 anni.
Invece per ritornare al problema reinserimento al lavoro, purtroppo è così. Spesso o quasi sempre, non si va oltre: si arrabattano scuse ingiustificate come un rinnovo lavorativo o un nuovo impiego. Come quando il datore di lavoro è indeciso se assumere una donna o un uomo, solo per il pensiero di riconoscere la maternità al sesso “debole”. Si chiamano diritti e non dovrebbero essere schedati con una percentuale scritta da uno sconosciuto a computer. Valeria ha trovato un nuovo impiego presso un centro medico della zona che le dà l’opportunità di gestire la mansione in smart working. E’ felice e non poco. Non punta il dito contro nessuna gira più o meno professionale, ma in compenso lo faccio io, da giornalista: è la quarta volta in cui mi ritrovo a risaltare storie vere e profonde, come la sua, i cui malcapitati non trovano lavoro a causa di una malattia. Se è vero che le Risorse Umane, studiano la disciplina più umana che c’è, è altrettanto giusto che questa venga praticata.

Siamo stufi delle lunghe attese, dei rimandi, delle false promesse. Parola mia.
“Se avete un dubbio, toglietevelo: imparate ad ascoltarvi di più, ci si salva la vita”. Valeria Gatti

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