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giovedì 25 aprile 2024 | ore 09:49

Ricoverato col Covid: "Il tempo si è fermato"

I sintomi e il ricovero. Giordano Garavaglia, presidente della Turbighese, racconta la battaglia contro il virus che sta combattendo da un letto d'ospedale.
Turbigo - Giordano Garavaglia con un infermiere

Il primo pensiero che, inevitabilmente, va a quella mattina di metà gennaio; l'ambulanza che arriva a casa, i soccorritori che entrano e, poi, il trasferimento in ospedale. "E' come se il tempo si fosse fermato; niente più contatti con l'esterno, niente più incontri con i familiari, le persone care o gli amici; niente di niente... solo medici, infermieri e qualche altro paziente". La voce, all'improvviso, si blocca; un groppo in gola gli impedisce di proseguire, perché, anche se oggi, piano piano, il peggio sembra essere sempre più alle spalle, le due settimane appena trascorse l'hanno provato e duramente. Quindici giorni ormai di lunga e difficile battaglia contro il Covid-19 che lui, Giordano Garavaglia, presidente della Turbighese (storica società di calcio di Turbigo), sta combattendo, appunto, da un letto del nosocomio bustocco. "Momenti che non dimenticherò mai - racconta - E' dura, sia a livello fisico, ma soprattutto dal punto di vista psicologico. Le tante domande che fanno capolino in testa (Che cosa mi succederà? Riuscirò a superarlo? ecc...) e che si mischiano con la paura, l'ansia e con quel senso di vuoto attorno. Sei completamente isolato dai tuoi affetti; vicino hai soltanto il personale sanitario (tutti, però, completamente bardati; puoi vedere solo gli occhi), con il quale scambiare qualche parola e cercare un po' di conforto e coraggio. Per il resto, una grande silenzio e un'enorme solitudine". Giornate, alla fine, interminabili. "Ci sono istanti che stai meglio, altri, invece, che ti prende lo sconforto e ti viene da piangere - spiega - Cerchi, in alcuni casi, di dormire e non ce la fai oppure è per poco tempo. O ancora, un momento nel quale provi a non pensarci, è quello della videochiamata con i familiari (non sempre, però, ci riesco, perché quando sono giù di morale, preferisco evitare, per non preoccupare ulteriormente la mia famiglia e i miei nipoti). Poi sei lì, a fissare il soffitto e a contare i minuti e le ore. E così è dal mese scorso". I primi sintomi, come detto, a metà gennaio. "Ho cominciato con la febbre, la spossatezza e il respiro un po' affannato - ricorda - Ho capito subito che c'era qualcosa di strano, perché la temperatura corporea, nonostante i medicinali, si abbassava per poco tempo e, immediatamente, tornava sopra i 39 - 39,5 (con la saturazione attorno a 90 - 85). La mia compagna, allora, ha chiamato l'ambulanza e quando i soccorritori sono arrivati a casa, dopo avermi visitato e controllato, mi hanno portato in ospedale, dove, una volta fatti gli accertamenti specifici, mi hanno ricoverato. Per fortuna non mi hanno dovuto mettere il casco per respirare, ma è stata sufficiente la mascherina, comunque quanto ho vissuto è qualcosa che rimarrà per sempre impresso nella mia mente".

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