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Intervista ad Emilio Crespi

Intervista redatta nel gennaio 2004 presso la sua abitazione
Cuggiono - Banda militare cuggionese durante la IIa Guerra Mondiale

Auschwitz, Dachau, Flossenburg, Mauthausen sono nomi tristemente noti per le nefandezze che qui l’uomo ha saputo compiere nei confronti di altri uomini. Il 27 gennaio del 1945 venne liberato il campo di sterminio di Auschwitz. Quella data solo da pochi anni è stata riconosciuta ‘Giorno della memoria’ dal Parlamento italiano dedicandola al ricordo della Shoah, alle vittime di quella carneficina, agli uomini giusti che vi si opposero. A 60 anni da quei momenti cupi dell’umanità, si è deciso di andare a trovare un sopravvissuto a quell’orrore, un cittadino di Cuggiono, di 85 anni, che ha vissuto e sperimentato sulla propria pelle violenze di ogni genere ed ora, nonostante siano passati tanti anni, lascia farsi intervistare e ripercorrere la sua storia perché non si dimentichino le atrocità della guerra. Non si può fare a meno di entrare all’interno del lager, tramite le sue parole, non si può fare a meno di rivivere insieme a lui momenti di angoscia e di violenza, dove, nelle situazioni più drammatiche, ha saputo conservare la propria dignità di uomo e di porsi verso gli altri con un atteggiamento di disponibilità e di aiuto.
Come tutti i giovani cuggionesi anche lui fu mandato alle armi, la sua destinazione fu Fiume (Istria). Era addetto all’artiglieria e suonava nella banda. La guerra è già atroce di suo, ma la sua particolare storia inizia con la caduta del fascismo. “A Fiume c’era uno che aveva parenti a Cuggiono, lo rintracciai e mi diede i vestiti di suo figlio per poter scappare, insieme ad altri 9 ex-militari e un sottotenente. La notte dell’8 settembre 1943, alle 2.30, in località presso Trieste venimmo fermati da dei fascisti. Uno di noi, senza che nessuno lo sapesse, aveva tenuto con sé 4 bombe a mano, appena le scoprirono fummo rispediti a Fiume, dove ci assegnarono al controllo dei tedeschi. Tempo 3 giorni e siamo stati portati prima di nuovo a Trieste e poi a Venezia, dove ci fecero consegnare tutto. Vi era un ufficiale tedesco che parlava italiano che diceva a tutti: ‘consegna l’artiglieria o passi per l’armi’”. Qui, a Venezia, ci racconta che trova un modo di avvisare casa, da dove il padre subito si precipita per cercarlo, ma arrivando quando era già partito per un'altra meta. “Eravamo in 600/650 e fummo rinchiusi in 75 per vagone, con condizioni igieniche e ambientali drammatiche, ovviamente non vi erano servizi igienici e ci arrangiavamo con bottiglie e gavette. Giunti a Villach (Austria) ci fecero scendere per una pausa, un sottufficiale della marina che si allontanò di pochi metri e subito venne fucilato. Lì non abbiamo più avuto dubbi sulla nostra situazione, se ancora ce ne erano”. Il tono si fa più triste, ma il ricordo rimane lucido e preciso, come gli occhi, che sembra che ancora rivedano quei momenti. “Arrivammo a Furstenberg, ci lavammo e ci rasarono, mi diedero il numero di prigionia 310461. Poi, con altri 600 italiani fui trasferito a Finsterwalde (Germania). Vi rimasi due anni, da 76kg scesi a 46Kg. Nel campo di prigionia la sveglia era alle 3.30, per poi andare a fare turni di lavoro di 12 ore in una fabbrica per aviatori e sommergibili. Ci spostavano, a piedi, in colonna, spesso accompagnati da civili, bambini compresi, che ci dileggiavano facendoci bersaglio di sputi e lanci di sassi”. Nel campo di prigionieri di guerra non vi erano solo italiani, ma persone di varie nazionalità. “La nostra razione quotidiana: una brodaglia con qualche pezzo di rapa e una noce di margarina. Francesi, americani e inglesi invece ricevevano ben altra alimentazione, che sprezzanti consumavano davanti a noi. Ci trattavano peggio che i tedeschi, ci irridevano come dei cani, mangiandoci davanti agli occhi. E così un comandate italiano del campo, che lasciava ammuffire alcuni viveri nel suo ufficio solo per farci rabbia. Un episodio che non dimenticherò mai fu il giorno che uscendo dalle cucine vidi, incredulo, un altro cuggionese, amico di mio fratello. E’ incredibile, ripensandoci, alla casualità di quell’incontro”.
I bombardamenti americani e l’avanzata russa misero in fuga i tedeschi. Iniziò così l’avventura del ritorno. “Mi organizzai con altri 18 italiani, ci mettemmo a peregrinare per la Germania. Raggiungemmo in treno la Cecoslovacchia, dove i partigiani cechi ci aiutarono a raggiungere Praga. Lì, l’incontro con un frate e l’arrivo a Casa d’Italia, ci permise di rientrare e raggiungere le nostre famiglie. Ma lo stato di denutrizione patito mi provocò una forma ulcerosa allo stomaco, che dopo anni di cure, dovetti risolvere con un intervento chirurgico”. Anni dopo, organizzò una mostra in Comune con i reduci della guerra, vi era chi aveva combattuto in Grecia, chi in Russia, chi come lui fu deportato in un lager, e nonostante riuscì a salvare la vita, furono due anni irrimediabilmente rubati alla sua vita di uomo libero. La mostra si chiudeva con queste parole: “Per noi la storia è un pietoso ricordo, per voi giovani è un ammonimento”.

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