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venerdì 29 marzo 2024 | ore 11:26

Covid: pericoloso processo alle intenzioni

Nella giornata di venerdì 3 marzo sono stati notificati ai diretti interessati gli atti di conclusione delle indagini sulla mancata zona rossa nelle aree del lodigiano, Alzano Lombardo e Nembro durante la prima ondata e il mancato aggiornamento dei piani pandemici fermi alle previsioni del 2006, trasformando i decisori di allora in indagati per “pandemia colposa aggravata”.
Salute - Emergenza Covid (Foto internet)

Nella giornata di venerdì 3 marzo sono stati notificati ai diretti interessati gli atti di conclusione delle indagini sulla mancata zona rossa nelle aree del lodigiano, Alzano Lombardo e Nembro durante la prima ondata e il mancato aggiornamento dei piani pandemici fermi alle previsioni del 2006, trasformando i decisori di allora in indagati per “pandemia colposa aggravata”. 19 gli indagati; tra i nomi più noti l’ex Premier Conte, l’ex Ministro Speranza, il rieletto Presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana e il suo assessore Gallera, oltre a Brusaferro, Locatelli e Borrelli, parte del CTS. La notifica avviene a conclusione di un percorso di indagini condotto dal Pm Antonio Chiappani, insieme con il Procuratore aggiunto Maria Cristina Rota e la collaborazione del “consulente”, oggi Senatore per il PD, Andrea Crisanti. La tesi dei magistrati è che si sarebbe dovuta dichiarare una zona rossa sulla base delle informazioni disponibili e che la mancata istituzione avrebbe causato oltre 4000 morti. La tesi dei magistrati, aggiungiamo noi, è un pericolosissimo (e ultimamente recidivo) precedente di processo (mediatico) alle intenzioni, che contribuisce a svilire la reputazione di un apparato giudicante già di per sé compromessa e che si inserisce in un filone di procedimenti che hanno come obiettivo non più il giudizio dei fatti, quanto invece la definizione di una Verità (morale) che non è possibile definire. Un’indagine con il senno del poi. Il filone di indagine della Procura di Bergamo è un atto che si propone di indagare le decisioni adottate all’interno di un contesto drammatico, giudicando non tanto l’eventuale commissione di reati penali, quanto invece se l’adozione o la mancata adozione di determinate politiche fosse una cosa giusta oppure no. Qui non si parla di giudicare le ricadute penali di una scelta, che sarebbe invece legittimo qualora ci fosse il sospetto di un reato; qui si parla invece di un’indagine che si è arrogata il diritto di dire che una scelta (probabilmente) sbagliata può diventare un reato. Secondo questa logica, a tratti orwelliana, e dunque rabbrividente, un decisore ha soltanto due strade: assumere una decisione corretta o commettere un reato. Un filone d’indagine folle e pericoloso, che dal punto di vista giudiziario si concluderà con 19 assoluzioni, ma che si inserisce alla perfezione in una narrazione che trasforma i processi in talk show, emettendo giudizi verbali, prima di non accorgersi che il fatto non sussiste. E quello che, se possibile, preoccupa ancor di più è che gli stessi magistrati sembrano esserne consapevoli.

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