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È con profondo dolore e indignazione che denunciamo l’ennesima violazione della sacralità della libertà di stampa: ieri, 25 agosto 2025, un attacco israeliano ha colpito l’Ospedale Nasser a Khan Younis, uccidendo 20 persone, tra cui cinque giornalisti che si trovavano lì per documentare la devastazione in atto.
L’offensiva si è svolta in due fasi: un primo bombardamento ha devastato il quarto piano del complesso ospedaliero, seguito da un secondo impatto mentre i soccorritori e i giornalisti si affrettavano a salvare vite. Questa tattica, nota come “double‑tap”, aumenta in modo drammatico le vittime tra coloro che rispondono al primo attacco.
Le vittime includono il cameraman di Reuters Hussam al‑Masri, la fotografa di Al Jazeera Mohammad Salama, la foto‑giornalista Mariam Abu Dagga, il fotografo Moaz Abu Taha e il freelance Ahmed Abu Aziz. Ogni loro scatto, ogni immagine catturata rappresentava la verità di una realtà ignorata o taciuta altrove. Il loro sacrificio ci impone una riflessione urgente sul ruolo del giornalismo di guerra e sulla protezione di chi si espone per raccontare la verità al mondo.
Le reazioni internazionali non si sono fatte attendere: il Segretario Generale dell’ONU Antonio Guterres e il Ministro degli Esteri britannico David Lammy hanno chiesto un’indagine completa e un immediato cessate il fuoco. Le organizzazioni per la libertà di stampa, come il Comitato per la Protezione dei Giornalisti (CPJ), hanno denunciato l’accanimento contro i reporter, e l’Associazione della Stampa Estera ha definito l’attacco tra i più sanguinosi contro media internazionali dall’inizio del conflitto. La stampa internazionale e le istituzioni chiedono responsabilità: l’uso di obiettivi civili come ospedali o sedi di giornalisti costituisce una violazione del diritto internazionale umanitario.
Domandiamoci: qual è il valore della verità se chi la racconta viene fatto tacere con violenza? Quale futuro può esserci per la cronaca libera quando chi la pratica paga con la vita? Quanto deve ancora scorrere di sangue prima che l’informazione diventi un valore inviolabile, protetto da ogni legge, da ogni tregua, da ogni barriera?
Oggi, ricordiamo Hussam, Mohammad, Mariam, Moaz e Ahmed non solo come vittime di un attacco crudele, ma come simboli dell’impegno giornalistico in zone di guerra. Debbono essere loro, le loro famiglie e i loro colleghi in lutto, al centro di ogni richiesta di giustizia. E in loro nome, invochiamo una sola, limpida verità: la fine dell’impunità, la protezione degli operatori dell’informazione, il rispetto delle regole umanitarie. Che il loro sacrificio non resti vano.
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