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sabato 27 aprile 2024 | ore 07:57

Le ragioni degli agricoltori: pretestuose o valide?

"Ognuna di queste rivendicazioni conduce esattamente nella direzione opposta a quella che ha consentito all’agroalimentare europeo di crescere costantemente negli anni e garantire il benessere attuale, anche degli agricoltori".
Territorio - Protesta trattori.3

Hanno preso il via in Francia e nel giro di poche settimane rappresentano un problema per tutta l’Unione Europea: stiamo parlando delle agitazioni e delle proteste di migliaia di agricoltori, che – in sella al proprio trattore – stanno manifestando per le strade delle capitali europee. Parigi, Berlino, Bruxelles e in questi giorni anche in Italia e nostri territori: si registrano cortei organizzati e disordini in Piemonte e Lombardia. L’immaginario collettivo, figlio del ‘made in’ e dell’idea di campagna bucolica, ha già inconsciamente scelto di parteggiare per “i poveri agricoltori” e pertanto – sui giornali o sui media – è già cominciata la tinteggiatura a buon fine delle richieste dei manifestanti. Ma per cosa si mobilitano effettivamente costoro? E soprattutto cos’ha originato questa movimentazione?

La protesta è montata in relazione alle politiche promosse da alcuni stati membri dell’Unione in materia di sostenibilità ecologica (es. riduzione delle agevolazioni sul gasolio o maggiori imposizioni per l’utilizzo di combustibili fossili inquinanti) e dall’Unione Europea nell’ambito della PAC (Politica Agricola Comune), che l’UE periodicamente aggiorna con le misure che ritiene più efficaci nell’ottica degli obiettivi prefissati. Tralasciando – per via della loro genesi locale – le politiche adottate da ogni singolo stato (seppur l’impatto che queste hanno avuto sull’onda della protesta non sia trascurabile), la particolare avversione degli agricoltori nei confronti dell’UE impone di analizzare il problema dal punto di vista comunitario.

Detto che tra gli obiettivi della PAC rientra quello di favorire una maggiore sostenibilità dei modelli agroalimentari comunitari, attraverso l’implementazione del new green deal, le misure previste dall’UE per il quinquennio 2023-2027 mirano, tra le altre cose, ad incrementare la competitività degli agricoltori nella catena di approvvigionamento, ad aumentare la disponibilità di fondi per il sostegno allo sviluppo ed a continuare il percorso di innovazione tecnologica, di sviluppo delle competenze e della ricerca scientifica. È sufficiente però scavare poco più a fondo tra le righe delle le richieste degli agricoltori per cogliere tutte le incongruenze con la tesi di ‘libero mercato europeo’ e far cadere la maschera ad un movimento che poco differisce da una sintesi dei precedenti casi dei Gilet Gialli e di Ultima Generazione: in primo luogo emerge chiara la richiesta di continuare a beneficiare di sussidi europei (guarda caso) completamente sovradimensionati rispetto al valore del settore (l’UE investe infatti il 30% del bilancio comune nelle politiche agricole, pur rappresentando – l’agricoltura – soltanto il 3% del pil europeo); in secondo luogo si denota il riemergere dell’intrinseco – purtroppo – istinto protezionista dell’agricoltore medio, secondo il quale “l’export è un bene, purché sia io a farlo”; e infine si chiarisce, in particolar modo osservando i partiti e le corporazioni che assecondano la protesta (vedere Coldiretti), la valenza politica e la posizione antieuropea di chi manifesta.

Nessuna delle motivazioni ha forse uno stretto legame con la discussione sul futuro del mercato agricolo, ma soprattutto ognuna di queste rivendicazioni conduce esattamente nella direzione opposta a quella che ha consentito all’agroalimentare europeo di crescere costantemente negli anni e garantire il benessere attuale, anche degli agricoltori.

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