Milano / Malpensa

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L’8 e il 9 di giugno il paese è chiamato alle urne per esprimersi in merito a cinque quesiti di carattere abrogativo finalizzati a scopi molto diversi tra di loro. Per qualcuno è già una notizia apprendere di questo appuntamento elettorale – e il dato francamente non sorprende, dato la tanto scarsa copertura informativa in merito – mentre per altri i quesiti sono tanto variegati e poco chiari, che immaginare una presenza ai seggi superiore al 25% degli aventi diritto credo rasenti l’immaginario. I temi sui quali siamo chiamati ad esprimerci riguardano: la disciplina dei licenziamenti illegittimi – l’abrogazione di alcune norme relative ai licenziamenti nelle piccole imprese; ai contratti subordinati – la responsabilità solidale del committente negli infortuni sul lavoro – il dimezzamento dei requisiti temporali di residenza legale per il rilascio della cittadinanza. Temi di non trascurabile importanza; temi sui quali esiste un Parlamento pagato per decidere, che invece preferisce astenersi dal rischio di legiferare su tematiche che toccano la sensibilità pubblica. Tanto più il tema si fa scivoloso, tanto più si ricorre allo strumento referendario – che è ormai chiaro necessita di una ripensata in termini di funzionamento ed efficacia – di modo che sia l’insufficiente affluenza elettorale ad eliminare dal dibattito questi temi, che invece hanno un peso nell’agenda delle necessità del paese. Si pensi soltanto al quesito relativo alla cittadinanza, per il quale si propone il dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana. Per un paese come l’Italia in piena crisi demografica – che necessiterebbe di immigrazione nuova e qualificata - e dove risiedono attualmente oltre 5 milioni di immigrati regolari, che pagano le tasse e producono per conto di questo paese, dei quali solo poco più di 1 milione con la cittadinanza, ecco questo fa capire quanto ripensare la posizione del paese verso chi arriva e vuole lavorare in Italia sia strategico e non possa essere delegato al popolo. Si pensi soltanto che il tasso di occupazione dell’immigrato regolarmente residente in Italia è superiore a quello dell’italiano di nascita. Chi contribuirà al welfare dello stato se oltre a non aprirci all’immigrazione, continuiamo a rifiutare di affrontare il problema? Il Parlamento è vile e rifugge dal proprio ruolo; non possiamo esserlo ugualmente noi, dunque seppur con gli strumenti sbagliati, è importante far sentire la propria voce.
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