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Comunicaré

Biancaneve e quel bacio...

Il bacio tra Biancaneve e il Principe? Da censurare: non è consensuale. Ha fatto scalpore anche nel nostro Paese l’editoriale di un quotidiano online di San Francisco...

Il bacio tra Biancaneve e il Principe? Da censurare: non è consensuale. Ha fatto scalpore anche nel nostro Paese l’editoriale di un quotidiano online di San Francisco, Stati Uniti, il SF Gate, in cui due giornaliste attaccavano la celeberrima scena della favola disneyana, al centro della giostra dedicata alla fiaba all’interno del parco divertimenti di Disneyland. Un articolo di portata molto limitata vista la testata giornalistica non esattamente di punta, ma che ha assunto rilevanza internazionale grazie al tam tam scatenato proprio dagli organi di informazione di tutto il mondo.

In comunicazione esiste una teoria che si chiama ‘la spirale del silenzio’. La teoria, sviluppata negli anni ‘40 del secolo scorso, afferma che chi difende posizioni minoritarie è portato al silenzio, per paura di essere isolato dalla massa, che la pensa diversamente. Insomma, saremmo tutti portati a pensarla come la maggioranza dell’opinione pubblica e, in questo modo, il dissenso sarebbe ridotto al silenzio. In questo caso appena raccontato, il caso SF Gate, sembriamo assistere al fenomeno esattamente contrario: l’opinione di due, e sottolineiamo due, persone, seppur relativamente influenti, ha assunto dimensioni esorbitanti. Quale la causa? Ma naturalmente il web e i social, che diventando un’enorme cassa di risonanza e amplificazione di qualsiasi notizia.

Ma perché tanto chiacchierare sul bacio del Principe alla Biancaneve addormentata della favola? La polemica si inserisce naturalmente nella discussione, sempre di attualità e riportata nel nostro paese prepotentemente sotto i riflettori dal caso giudiziario che coinvolge il figlio di Beppe Grillo, rispetto all’espressione del consenso femminile e al sottile confine che sta, a volte, tra la consensualità e la molestia sessuale. Quella sulla fiaba dei fratelli Grimm, tuttavia, è una discussione priva di ogni fondamento. Come ricordano molti psicologi, quella della favola per bambini è una dimensione speciale, lontana dalla realtà, che non sempre ne segue le regole. Tanto che un bacio, in tale dimensione, è capace di resuscitare una fanciulla da un sonno eterno a cui un incantesimo l’ha condannata. Biancaneve dorme, ma è come se fosse morta: come potrebbe in quello stato dare il suo consenso? Che poi è un consenso, ancora più importante, non tanto all’essere baciata, bensì all’essere salvata!

Si tratta solo dell’ultimo episodio che ci dimostra quanto a volte la nostra società riesca a rendersi ridicola alla ricerca di uno spasmodico politically correct, il politicamente corretto, un movimento corretto nei principi, che si propone di non utilizzare parole e termini della lingua che possano rendere la comunicazione offensiva nei confronti di alcuni gruppi di persone. È il caso del termine “negro”, ancora innocentemente presente nella canzone “I Watussi” di Edoardo Vianello del 1963, ma oggi bandita da ogni conversazione perché dispregiativo (ma il termine deriva semplicemente dal latino niger, nigri e in spagnolo designa semplicemente il colore nero, attribuito anche alla persona, senza paura di discriminazioni). Perché la comunicazione non è fatta solo di parole, ma innanzitutto di intenzioni comunicative: lì sta la discriminazione, non tanto nei termini che utilizziamo per esprimerle.

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