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Legale

Dichiarare il falso nell’autocertificazione

Non è reato dichiarare il falso nell'autocertificazione. Tre Giudici hanno ravvisato importanti profili di illegittimità costituzionale nei DPCM emanati dal Governo.

A partire dal DCPM 08.03.2020 il Governo ha, in vario modo, limitato la libertà di movimento di tutti noi, prevedendo la possibilità di uscire dalla propria abitazione solo per comprovate situazioni di necessità, esigenze lavorative o motivi di salute che devono essere dichiarate in un’autocertificazione da esibire a richiesta delle forze d’ordine in occasione di eventuali controlli. La falsità delle dichiarazioni ivi contenute, è perseguibile penalmente ai sensi dell’art. 483 c.p. Tuttavia, è accaduto che un gran numero di queste dichiarazioni siano risultate essere false, conseguentemente sono stati azionati d’ufficio molti procedimenti penali. Negli ultimi mesi, alcuni Giudici investiti della questione hanno ritenuto il fatto penalmente irrilevante. Il primo caso, riguarda un provvedimento del Gip di Milano che archiviava il caso, sostenendo che tali dichiarazioni non rispondessero all’ambito applicativo dell’art. 483 c.p. perché non riguardavano fatti del passato di cui si può attestare la verità, ma mere manifestazioni di volontà, intenzioni o propositi. Una seconda pronuncia, arriva dal Gip di Reggio Emilia che formulava una ben più coraggiosa motivazione, ritenendo che il DPCM 8/3/20, come tutti quelli successivi, fossero affetti da un’innegabile illegittimità, nella parte in cui imponevano un divieto di spostamento, da considerarsi alla stregua di un provvedimento restrittivo della libertà personale, al pari di una detenzione domiciliare. Simili limitazioni possono essere imposte solo da un Giudice, con le conseguenti garanzie di cui all'art. 13 Cost. Il mancato rispetto della previsione costituzionale imponeva dunque l’immediata disapplicazione del DPCM in questione. Infine, un altro Gip di Milano, con sentenza del 12/03/21, rilevava che il reato di cui all’art. 483 c.p. non si ravvisa nel caso specifico, in quanto, l’obbligo di dire la verità sussiste solo quando si debba provare la veridicità di un fatto ai fini di specifici effetti giuridici (ad esempio, come accade nelle dichiarazioni dell’imprenditore per partecipare ad una gara d’appalto o nelle dichiarazioni del privato al fine di richiedere il rilascio del passaporto) Ma non è tutto. Il Gip evidenziava che all’epoca dei fatti, il divieto di uscire dalla propria abitazione era penalmente sanzionato (650c.p). Pertanto, imporre l’obbligo di dire la verità in tale frangente, equivaleva a violare il noto principio “nemo tenetur se detegere”, ovvero: nessuno può essere costretto ad autoincriminarsi. Un simile obbligo non è previsto da nessuna norma di legge e una sua ipotetica configurazione si porrebbe in palese contrasto con il diritto di difesa del singolo (24 Cost) quindi, ancora una volta, contro la Costituzione. Dunque, in poche settimane, tre Giudici diversi hanno sostanzialmente ravvisato importanti profili di illegittimità costituzionale nei DPCM emanati dal Governo che si auspica voglia intervenire con più chiare disposizioni normative.

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