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Attualità, Il bastian contrario

Blocco dei licenziamenti...

Tra le misure adottate dall'allora Governo Conte bis per far fronte all’ondata della pandemia in campo economico e lavorativo, rientra, come ben noto, il blocco dei licenziamenti.

Tra le misure adottate dall'allora Governo Conte bis per far fronte all’ondata della pandemia in campo economico e lavorativo, rientra, come ben noto, il blocco dei licenziamenti. La misura, introdotta il 17 marzo 2020 con il decreto Cura Italia, è stata varata per cercare di limitare l’emorragia di posti di lavoro, che altrimenti, a giudizio dell’allora governo, si sarebbe verificata senza un freno. Più di un anno dopo, è l’attuale premier, Mario Draghi, a decretarne una breve proroga contenuta nell’ultimo decreto ristori, foriera della sua definitiva archiviazione prevista per la fine della primavera. È giunto quindi il momento di fare dei bilanci, di tirare una riga, e vedere se la misura ha realmente avuto gli esiti sperati. Dai numeri dell’Istat dobbiamo rilevare certamente un dato, quelli dei posti di lavoro persi nel 2020, e chiederci come sarebbe stato e come potrà essere il mercato del lavoro dopo questa misura. L’Istat ha certificato che “i livelli di occupazione e disoccupazione sono inferiori a quelli di febbraio 2020 - rispettivamente di oltre 420 mila e di quasi 150 mila unità - e l’inattività, dato ben rilevante, risulta superiore di oltre 400 mila unità”. A partire da questi dati è necessario fare delle considerazioni sul blocco dei licenziamenti all’italiana, unico paese ad averlo implementato in maniera così rigida. Un blocco di tale genere ha forse contribuito a salvaguardare i contratti più lunghi dagli effetti della pandemia e delle chiusure, ma è stato veramente utile a difendere i posti di lavoro? Certamente in un primo momento lo è stato, ha fatto sì che i contratti in essere venissero mantenuti, ma in un secondo tempo la percezione è che la rigidità di tale misura abbia agito più da ostacolo al mercato, piuttosto che da sostegno. Da uno studio dell’OECD, ripreso dall’OCPI, si evince, infatti, una contrazione dell’11% dei contratti a tempo determinato e del 4% di quelli autonomi, senza considerare gli stagionali a chiamata. Questo significa che, a causa della prorogata impossibilità di licenziare, si è spesso optato per lasciare scadere contratti che probabilmente sarebbero stati rinnovati con condizioni diverse. Ma non solo, una prolungata impossibilità di licenziare, ha contribuito ad un blocco strutturale sul mercato del lavoro, al quale è stata impedita la riorganizzazione naturale. L’inattuabilità per le imprese delle proprie politiche di assunzione e, di conseguenza, l’assenza di un mercato lavorativo aperto è certamente all’origine di grandi squilibri, nati in questi mesi, che emergeranno nel tempo, evidenziando mismatch di domanda, offerta e competenze. Insomma, che la toppa sia stata peggio del buco?

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