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Tutti videogamer

Siamo tutti videogamer. Il mondo dei videogiochi: ottava arte e industria in costante crescita. Ma occhio ai pericoli. Ecco alcune caratteristiche e particolarità.

I tempi sono cambiati, si sa: passiamo sempre più tempo chiusi in casa, usciamo poco e quando siamo fuori dalle mura domestiche le nostre libertà sono molto limitate. C’è un’industria che, in questo panorama, lungi dal perdere clienti, si rafforza: è quella dei videogiochi. Si tratta, infatti, di un mercato stimato in 160 miliardi di dollari a livello globale nel recente 2020 e che dovrebbe arrivare alla cifra mostruosa di 196 miliardi entro il 2022. Tra gli italiani compresi nella fascia di età 16-64 anni che si connettono a Internet, il 39% possiede una console; 4 su 5 sono videogiocatori, anche solo con lo smartphone, secondo i dati del recentissimo Digital Report 2021 dell’agenzia di comunicazione globale We Are Social. Il tempo trascorso da questi utenti giocando con una console è di 49 minuti al giorno, dato però che non tiene conto appunto dei videogame per smartphone e tablet. Un’altra ricerca dello scorso dicembre, promossa da Yougov e dall’Osservatorio Italiano Esports, certifica che l’Italia è al primo posto in Europa per consumo di videogiochi da mobile (il 58% del target gioca in questo modo) e al terzo posto per utilizzo di console (il 24%). Tuttavia, se tali ricerche statistiche avessero indagato l’utilizzo e i tempi di consumo dei videogiochi su una fascia di età più bassa, soprattutto quella che comprende la fine della scuola primaria e l’intera scuola secondaria, i numeri sarebbero stati decisamente diversi. I ragazzi dichiarano di giocare ai videogame per conoscere nuovi amici: una dimensione impensabile prima che questo tipo di attività includesse la connessione a Internet e la possibilità di giocare con persone situate all’altro capo del mondo. E un aspetto ancora più importante oggi che, con la pandemia in atto, vedere gli amici dal vivo al di fuori delle mura scolastiche è sempre difficile. I videogame nascondono pericoli e insidie di cui è bene rendere i più giovani consapevoli: il pericolo della nascita di un abuso o di una dipendenza; l’esposizione a contenuti inadeguati alla propria età, nonché il pericolo di adescamento da parte di malintenzionati sulle piattaforme di gioco. Innanzitutto, è bene comprendere che questi giochi sono volutamente disegnati e pensati per mantenere il giocatore incollato allo schermo, immerso in un mondo parallelo e virtuale, in un’esperienza di ‘flow’: nella teoria del flusso, lo psicologo Mihaly Csikszentmihalyi ha affermato che il flow è uno stato di piacere assoluto; applicato al mondo dei gamer, la condizione è che il gioco non sia né troppo difficile rispetto alle capacità del giocatore (che entra altrimenti in uno stato di ansia) né troppo facile (elemento che causerebbe soltanto noia). La buona vecchia regola di porre un limite temporale all’utilizzo della console - ad esempio: massimo un’ora / un’ora e mezza - funziona sempre. E se il ragazzo non ne vuole sapere? Basta staccare la spina, letteralmente... Altrettanto importante è capire che il videogioco è altro rispetto alla realtà: è un’attività di intrattenimento, una forma d’espressione, molti li considerano l’ottava arte. Ma quello che succede all’interno del videogioco ha delle conseguenze anche nella vita reale, nel bene e nel male: se faccio una nuova amicizia all’interno della finzione del gioco, posso conoscerla e frequentarla anche nella vita reale; ma se insulto qualcuno, sono reo di cyberbullismo! Non si può mai pensare di essere nascosti e protetti da uno schermo, sia esso quello del televisore o del Pc. Anche per i videogiochi, infine, vale la regola che vietarli non ha molto senso: si tratta di un fenomeno ormai consolidato nella nostra società. Fioccano i campionati di e-sports, ovvero sport giocati solo virtualmente; quella del gamer è diventata una vera e propria professione remunerata tanto quanto quella degli atleti, per non parlare poi degli Youtuber che campano di video-tutorial su come videogiocare al meglio… L’importante è parlarne e, prima cosa: essere consapevoli di che cosa si tratta.

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