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Nostro mondo

L'Iran dopo Soleimani

Un anno fa il mondo era con il fiato sospeso dopo l'uccisione di Soleimani da parte degli USA di Trump. L'Iran disinnnescò la miccia di una guerra mondiale con grande prudenza. E ora?

Il 3 gennaio 2020 Donald Trump ha dato il via libera a un’operazione militare volta a eliminare il generale iraniano Qassem Soleimani. L’assassinio del comandante delle brigate al-Qods, avvenuto a Baghdad, ha scatenato reazioni furiose nell’opinione pubblica iraniana, spesso divisa ma capace di ricompattarsi di fronte a un evento percepito come un attacco all’intero paese. La risposta del regime degli Ayatollah è stata invece piuttosto cauta, per non provocare un’ulteriore escalation con gli Stati Uniti. Pochi giorni dopo l’omicidio di Soleimani, gli iraniani hanno colpito due basi statunitensi in Iraq, senza causare vittime. In sintesi: Trump ha ristabilito il potere deterrente degli Usa - con una mossa di dubbia legalità -, mentre la Repubblica Islamica non si è screditata davanti agli occhi dei suoi cittadini. Il governo dell’Iran si è trovato comunque sul filo del rasoio nelle settimane successive al 3 gennaio dell’anno scorso, tra le periodiche manifestazioni di piazza che, fin dal novembre del 2019, palesano il malcontento di una buona parte della popolazione e l’affermarsi del fronte conservatore nelle elezioni del 21 febbraio 2020. La pandemia di Covid- 19, inoltre, continua a colpire duramente l’Iran e la sua economia, già provata dall’aumento delle sanzioni volute da Donald Trump dopo l’abbandono unilaterale degli USA del JPCOA (Joint Comprehensive Plan of Action, cioè l’accordo sullo sviluppo dell’energia nucleare in Iran). Undici mesi dopo la morte di Soleimani, lo scienziato al vertice del programma nucleare di Teheran, Mohsen Fakhrizadeh, è stato assassinato. “La vendetta arriverà al momento opportuno”, ha affermato Hassan Rouhani, presidente della Repubblica Islamica Iraniana, nei giorni scorsi, accusando Israele dell’omicidio di Fakhrizadeh. “Il momento opportuno” non si presenterà probabilmente nel breve periodo, pur in presenza di cambiamenti importanti nello scenario internazionale rispetto all’anno scorso. Non si fa riferimento esclusivamente alle aree dove l’azione delle forze guidate da Soleimani è stata pressoché costante, cioè Siria, Yemen e Iraq. Le guerre civili nei primi due paesi ,infatti, non sono ancora concluse, così come i leader politici iracheni faticano a costruire un rapporto di minima fiducia con la popolazione. Tuttavia il quadro regionale è cambiato. Bahrein ed Emirati Arabi hanno riconosciuto ufficialmente lo Stato di Israele, mentre l’Arabia Saudita si avvia a una fase di normalizzazione delle sue relazioni con Tel Aviv. Teheran risulta più isolato dopo questi avvicinamenti diplomatici tra i suoi rivali. E sebbene il neoeletto presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, sia stato più volte critico nei confronti delle politiche mediorientali del suo predecessore- accusato di incrementare le tensioni nella regione-, non sarà facile riprendere il dialogo che ha portato alla firma del JPCOA. “Né Occidente, né Oriente: solo Islam”, recita uno degli slogan più popolari nel 1979 a Teheran. La rivoluzione iraniana è riuscita laddove altri- come il movimento dei ‘non allineati’- hanno fallito: creare un terzo blocco, distinto e autonomo sia da quello statunitense che da quello sovietico, capace di fungere da catalizzatore per altri movimenti di militanza islamica, indipendentemente dalle differenze presenti tra sunniti e sciiti. Il carisma esercitato dalla Repubblica degli Ayatollah si è ormai affievolito e l’Iran affronta da tempo la medesima difficoltà incontrata dai regimi politici del Medio Oriente e del Maghreb, cioè fare sintesi tra le istanze di riforma espresse dalla popolazione e la salvaguardia pervicace dello status quo. Nei paesi risparmiati dall’ondata di proteste del 2011 (Algeria, Iraq, Libano e Sudan) si sono svolte nel 2019 periodiche manifestazioni di piazza contro classi dirigenti percepite come inefficienti e corrotte. La pandemia di Covid- 19 e le misure restrittive adottate per contenere il virus hanno causato l’acuirsi delle diseguaglianze sociali. E come dieci anni fa, durante l’inizio delle Primavere Arabe, le proteste di oggi nascono da un diffuso malessere piuttosto che da una strategia precisa; sono perciò facilmente manipolabili, ma spontanee e imprevedibili al tempo stesso. Diviso tra riformisti, di cui Rouhani è espressione, e conservatori, l’Iran si trova davanti a un bivio: scegliere la strada della prudenza, quella della reazione proporzionata al colpo subìto, oppure, sentendosi accerchiato, abbandonare la cautela e assecondare le tendenze più reazionarie.

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