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Codogno... là dove tutto è cominciato

Più di 50 giorni dopo la scoperta del primo caso di Coronavirus, la città della provincia di Lodi va avanti con la stessa determinazione, l'impegno e la grande attenzione. Con il sindaco Francesco Passerini, ripercorriamo queste lunghe e difficile settimane.

Codogno, 16 mila abitanti circa in provincia di Lodi, là dove tutto è cominciato. Codogno, più di 50 giorni dopo si va avanti con la stessa determinazione, l'impegno e la grande attenzione che, fin da subito, li ha contraddistinti. Perché il sindaco Francesco Passerini e la comunità intera lo sanno bene che la difficile e terribile battaglia contro il Coronavirus è tutt'altro che finita, anzi. "Certo, non è semplice - racconta il primo cittadino - Considerate, infatti, che al 3 maggio, quando il lockdown dovrebbe concludersi, saranno più di due mesi che la nostra città è in quarantena". Settimane intense, lunghe e complesse; la normalità che, all'improvviso, viene completamente stravolta. "Non potrò mai dimenticare quei momenti - spiega Passerini - La notizia del primo caso di positività al COVID-19 da noi. Avevo appena terminato una riunione sul PGT con i gruppi consiliari e, assieme, ad un consigliere mi ero fermato a bere qualcosa in un bar. Si stava parlando del più e del meno, poi ecco una telefonata: era il Prefetto che, appunto, mi informava che c'era in città una persona colpita dal virus". Da lì, allora, è stato un susseguirsi di chiamate e messaggi. La notte passata a capire che cosa stesse succedendo, come muoversi e quali misure mettere in atto. "Una situazione totalmente sconosciuta - ribadisce il sindaco - Un nemico invisibile e misterioso che si era insediato nella nostra comunità. E' stato, però, fin dal principio chiaro che non si trattava di una semplice influenza, come qualcuno andava dicendo”. I numeri, infatti, che salivano in maniera massiccia con il passare delle ore; le comunicazioni che continuavano ad arrivare di nuove persone contagiate e ricoverato in ospedale. "Avevamo 25, 30 e anche più casi alla volta - ricorda – Solo nei primi quattro giorni, ad esempio, abbiamo raggiunto i 110, 120 cittadini con il Coronavirus. Eravamo di fronte a qualcosa di forte e, subito, dunque, ci siamo attivati per istituire la 'zona rossa', però anche in questo caso non è stato facile. Tenete conto che, mentre noi prendevamo una simile decisione, c'erano Bergamo, da una parte, e Milano, dall'altra che, invece, lanciavano i messaggi che non si fermavano. Come spiegare, insomma, alla nostra popolazione che si sarebbe chiusa la città e che nessuno avrebbe più potuto né uscire né entrare? Con molti che, inoltre, lavoravano, appunto, nei due capoluoghi". Una scelta forte e decisa che qualcuno, alla fine, aveva ribattezzato addirittura 'folle'. "Sì vero, ce lo hanno detto - spiega - Non si rendevano conto, molto probabilmente, di ciò che stava avvenendo. Noi, comunque, siamo andati avanti, convinti che solo facendo così avremmo potuto affrontare il terribile periodo". Tutto fermo, quindi, i cittadini nelle loro abitazioni e, in parallelo, una serie di servizi di aiuto e sostegno che sono partiti. "Codogno era avvolta da un silenzio irreale - conferma il sindaco - Si sentivano solo le ambulanze, una dopo l'altra, che transitavano lungo le vie. L'impegno e lo sforzo da parte di ogni singolo abitante sono stati davvero enormi e di tutto ciò non smetterò mai di ringraziarli (nessun lamento e nessuna protesta). Si è creata una straordinaria 'macchina' per far fronte alla situazione: dal COC (aperto per emergenza epidemiologica) alla Protezione Civile ed al gruppo di volontari, impegnati h24 sul territorio (all’inizio erano in 20, oggi ce ne sono una novantina); ancora, ci siamo messi a produrre in proprio, con la collaborazione di esperti del settore, il disinfettante, fino a reperire le mascherine da distribuire ai vari nuclei familiari (non potevamo attendere che ce le avrebbero mandate gli organi istituzionali; qualcosa sarebbe arrivato, va bene, ma con quali tempistiche? E quante? Qualcos’altro, infine, sapevamo bene che non ci sarebbe mai pervenuto). Oppure, i cosiddetti farmaci salvavita, che si trovavano fuori dalla zona rossa: come portarli all'interno? Qui c'è stato un vero e proprio lavoro di squadra con i sindaci dell’area attorno. Si è creato un importante coordinamento, tutti uniti nel percorrere la stessa strada. E questa è stata anche la nostra forza, la condivisione con i Comuni vicini, perché per il resto nessuno è venuto ad aiutarci. Ma non è finita qui: le iniziative messe in campo sono state e sono differenti. Ci siamo inventati, ad esempio, pure una radio e un diario, per provare ad alleviare, per quanto possibile, le fatiche e lo stress di vivere isolati". Da quella sera del 20 febbraio e, più nello specifico, dal 21, come detto, sono passati oltre 50 giorni. La città, inevitabilmente, è cambiata, però, allo stesso tempo, è anche consapevole di avere dimostrato una straordinaria forza di volontà che, un po' alla volta, ha portato a significativi risultati. "Attualmente abbiamo all'incirca dai 310 ai 315 casi di positività al COVID-19 - conclude Passerini - Dati che sono calati notevolmente. Negli ultimi 10-12 giorni ci sono stati momenti da 1 o 2 contagiati e pure periodi a zero. Sappiamo che per il ritorno alla normalità ci vorrà del tempo, comunque continuiamo a lavorare senza mai abbassare la guardia. Non si può; non ce lo possiamo permettere. Lo dobbiamo a chi, purtroppo, in questa guerra (altro modo non c’è per definirla) ci ha lasciato per sempre (186, attualmente, i morti, triplicati rispetto agli anni precedenti) e a chi, invece, ha lottato con grinta e tenacia ed è ha vinto, come Mattia, il cosiddetto ‘paziente 1’ (che oggi è di nuovo a casa e, dopo settimane e settimane tristi e tragiche, è diventato papà) e come tutti gli altri".

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