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Salute, Storie

"Io, infermiera infettata dal Covid-19..."

"Un giorno quando tutto ció sará passato, per favore, non tornate a trattarci con prepotenza e saccenza, non tornate a pensare che sia assurdo laurearsi per diventare un infermiere!"

C’è chi può e deve stare a casa. Ma c’è anche chi, in questo particolare periodo, ha dovuto e deve continuare a lavorare, per far andare avanti il nostro Paese, ma soprattutto per provare a tutelare la salute di tutti noi. Questo è il caso, per esempio, di Manuela (nome di fantasia, per rispetto e privacy sua e delle persone coinvolte), che da infermiera ha contratto il Coronavirus.
“Come ho contratto il coronavirus? Bella domanda... - ci dice - me la sono posta diverse volte in questi giorni, ma poi, alla fine, poco importa. Molto probabilmente l'ho contratto in corsia, forse sostituendo un sistema di ventilazione, forse rilevando i parametri vitali o forse semplicemente assistendo un paziente che aveva bisogno di un minuto in piú”. La contagiosità di questo virus è sempre più evidente a tutti. Se all’inizio si consigliava un semplice lavarsi frequentemente le mani, ben presto ci si è accorti che non è sufficiente così, anzi.
“È il mio lavoro, quello svolto ogni giorno, quello che in tanti sottovalutano e che solo in questi giorni, forse, riceve la giusta riconoscenza - ci spiega Manuela - Un'influenza un po' 'pesantuccia' caratterizzata da cefalea, febbre alta, dolori ossei e tosse, accompagnata da un pochino di affanno. Ho eseguito il tampone alcuni giorni dopo, pensavo di aver fatto una normale influenza stagionale ma poi arriva la chiamata: positiva al Covid-19”.
Una diagnosi fredda, sintetica. Da una remota provincia della Cina all’Italia, dalla zona di Codogno fino a noi. “Il primo pensiero si é rivolto alla mia famiglia e, soprattutto, a mio papá che un'ora prima aveva ricevuto lo stesso responso - commenta Manuela - Mio papá ha 58 anni ed a lui il virus ha causato una polmonite bilaterale, lo ha costretto ad essere ricoverato e ad aver bisogno di ossigeno. Dopo circa dieci giorni di ricovero, posso finalmente dire che sta meglio, la febbre gli ha dato tregua e sta tirando un sospiro di sollievo, in ogni senso”.
Ma se le condizioni di salute migliorano, le attenzioni, le precauzioni e le norme sono ancora, giustamente, stringenti. “Ovviamente qui a casa siamo in quarantena, veniamo monitorati dagli enti competenti e manteniamo tutte le precauzioni necessarie - ci racconta - Non si tratta solo di non abbracciarsi, si tratta di mangiare separati, di dormire in stanze diverse e di porre attenzione ad ogni cosa che si tocca, a disinfettare ogni maniglia e a scambiarsi sguardi pieni di ansie e paure.
I primi giorni non sono stati semplici, la preoccupazione si poteva toccare con mano; so cosa vogliono dire certe immagini radiografiche, conosco il significato di alcuni valori del sangue e soprattutto quel paziente era mio papá. Credetemi, la cosa peggiore é non potersi vedere, non poter vedere con i propri occhi come respira, come parla e come sta... Le giornate sono infinite qui a casa, figuriamoci in un letto di ospedale dove le uniche persone che vedi indossano dispositivi che le rendono irriconoscibili proprio per proteggersi da te”.
Ma la sua storia non è solo di chi ha vissuto e combattuto contro questo terribile virus, la sua storia è anche di chi ha convissuto moralmente contro pregiudizi, false opionioni, sentito dire. “Vivo in un paesino, per cui, sí, ci sono stati atteggiamenti discriminatori ma onestamente hanno avuto la poca importanza che meritano. Penso peró che la paura e l'ignoranza possano fare veramente molto male.
Ogni giorno ascolto le testimonianze dei miei colleghi, che, lasciatemelo dire, svolgono un lavoro 'cazzuto' - racconta Manuela - Ho sentito la voce stanca, commossa ed impotente di colleghi che stanno dando il massimo e che in pochi giorni si sono riadattati ad una realtá che nessuno immaginava. Affrontano turni estenuanti, indossano mascherine che si incollano al viso, che spesso suda per la paura di dover ammettere che questo virus non é una semplice influenza! Pensate che loro non abbiano paura? Io finiró questa quarantena e torneró da loro, ma voi state a casa, ve ne prego! Voglio concludere dicendo di non chiamarci eroi, angeli o salvatori, vi chiedo solamente di non vanificare ogni sforzo; ed un giorno, quando tutto ció sará finalmente passato, per favore, non tornate a trattarci con prepotenza, sufficienza o saccenza, non tornate a pensare che sia assurdo laurearsi per diventare un infermiere!”

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