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Trucioli di storia

"La mia palestra"

Da tanti anni ormai vivo in città e quasi ho perso i ricordi del lavoro in campagna. Oggi però mi è passato davanti un macchinario che occupava tutta la strada...

Da tanti anni ormai vivo in città e quasi ho perso i ricordi del lavoro in campagna. Oggi però mi è passato davanti un macchinario che occupava tutta la strada, ho chiesto a mio figlio cosa era quell’enorme trattore e mi ha spiegato che era una mietitrebbia, un macchinario moderno che miete, trebbia e carica il mais direttamente sul carro del trattore che lo porterà all’essicatorio. Vedendomi incredula mi ha detto : “Vedi mamma, i tempi sono un po’ cambiati da quando da giovane mietevi il grano...” E subito mi sono tornati in mente i tanti ricordi e le tante fatiche che facevo in quel periodo. In effetti il mais lo mietevamo a mano, entravamo in campo armati di enormi ceste, raccoglievamo tutte le pannocchie rimanendo tutti feriti dalle foglie taglienti delle piante, le ceste poi le caricavamo sul carretto trainato dai nostri buoi, le portavamo nel nostro cortile e le rovesciavamo sull’aia per farle seccare. I nostri terreni erano tanti e di conseguenza tanti erano i viaggi che dovevamo fare con quel carretto. Alla fine della raccolta arrivava Giacomo, il proprietario di una trebbiatrice, la portava nel cortile la mattina presto e ce la lasciava per tutto i giorno finchè non avevamo finito tutto il lavoro. Il giorno della trebbiatura tutti partecipavano, nella mia famiglia, a parte mio padre eravamo tutte donne e dovevamo quindi fare anche quei lavori che solitamente spettavano agli uomini. Ci si alzava molto presto, ci si copriva con vestiti lunghi e fazzoletto sulla faccia perchè appena si accendeva la trebbia si alzava un polverone immenso e noi ne eravamo immersi per tutto il giorno per buttarci dentro le pannocchie. A me, che non sono mai stata esile, non veniva risparmiato niente, anche se poco più di una bambina caricavo e scaricavo come un uomo tutto il giorno. Una volta che le pannocchie erano finite e finalmente il macchinario si poteva spegnere, bisognava mettere tutto il mais nei sacchi e portarlo in granaio. Riempivamo i sacchi fino all’orlo che arrivavano a pesare anche più di 30 kg. A quel punto si prendeva la scala a pioli, la si appoggiava al muro e qualcuno doveva portarli sopra. Pensate chi era quel qualcuno? Io, ovviamente, e mia cugina Bianca che era fortunata come me. Su e giù da quella scala malconcia con quei pesantissimi sacchi sulle spalle fino a che non erano finiti, ed erano tanti. Oggi rimango un po’ a riflettere e penso a quali tempi sono sbagliati, se i nostri dove la fatica era tanta e nessuno la cercava proprio o quelli moderni dove i giovani per cercarla vanno in locali chiusi, al posto dei sacchi alzano pezzi di ferro su un bastone e pagano anche pur di far fatica. Mah...ogni epoca ha qualcosa che sfugge di mano...però posso dire di aver fatto tanta palestra e ne vado fiera! (Nonna Rina, Bareggio - primi anni '50)

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