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Salute, Frecce sui nostri giorni

"Ciò che serve per evitare un rischio"

L’Organizzazione Mondiale della Sanità è preoccupata per la diffusione del morbillo.

Da lunedì 12 marzo, i bambini non vaccinati secondo la legge 119/2017, potrebbero restare fuori dalle aule scolastiche. Il testo prevede infatti l’obbligatorietà dei vaccini, a protezione della salute pubblica. Date le polemiche sollevate da una minoranza, pur molto esigua, più o meno contraria al vaccino o al suo obbligo, proviamo a fare chiarezza. Le nuove disposizioni prevedono che le vaccinazioni obbligatorie passino da 4 (anti-poliomielitica, anti-difterica, anti-tetanica, anti-epatite B), a 12, aggiungendone 8 (anti-pertosse, anti-Haemophilus Influenzae tipo b, anti-meningococcica B, anti-meningococcica C, anti-morbillo, anti-rosolia, anti-parotite, anti-varicella). Il noto, duplice ricorso della Regione Veneto alla Corte Costituzionale (che non si opponeva ai vaccini, ma alla loro obbligatorietà) è stato respinto: il testo della legge non è anticostituzionale, lo Stato ha il dovere di proteggere i suoi cittadini, tanto più a fronte del calo di copertura vaccinale che si è verificata negli anni scorsi. Questo con buona pace dei molti Costituzionalisti improvvisati che hanno tuonato fino a poche settimane fa, spesso senza sapere di cosa parlassero. Ancora: questi vaccini servono? Certamente sì: tutto ciò che può evitare un rischio sanitario grave ad un bambino, serve. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, per esempio, è preoccupata per la diffusione del morbillo in Italia, così facilmente evitabile con il vaccino. L’Istituto Superiore di Sanità si schiera dalla stessa parte. E’ pericoloso che alcuni cittadini, irresponsabilmente, inneggino al complotto delle case farmaceutiche, mettendo così a rischio la salute pubblica; I vaccini rappresentano infatti appena l’1,4% della spesa farmaceutica: molto più ghiotti sarebbero, all’opposto, i non vaccinati, giacché gli antivirali ed antibiotici di cui avrebbero bisogno sarebbero molto più redditizi. A Milano una volta si diceva ‘Ofelé, fa el to mesté!’.

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