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Musica

Swanz e la 'prima' da solista

Luca Swanz Andriolo: cantante, chitarrista, banjoista e fondatore dei Dead Cat In A Bag. Adesso anche un nuovo percorso, con l'esordio in veste di solista.

Luca Swanz Andriolo, sei cantante, chitarrista, banjoista e fondatore dei Dead Cat In A Bag, con i quali pubblichi due album ('Lost Bags' e 'Late For A Song'). 'Covers On My Bed, Stones In My Pillow' è il tuo nuovo lavoro, autoprodotto, per l'esordio in veste di solista. Cosa ti porta a scegliere questo tuo nuovo percorso? Esigenza, voglia di cambiamento o sperimentazione?
Questo disco nasce da esigenze personali – come si dice sempre di qualunque disco in un’intervista. I Dead Cat sono impegnati in un lavoro molto lento e a suo modo difficoltoso: il prossimo album sarà diverso dai precedenti e insieme porterà a compimento molte delle intuizioni stilistiche che ci hanno connotati fino a qui. Ma io sono nevrotico e iper-produttivo. In più, stavo vivendo un periodo complicato. Ho iniziato a registrare per impratichirmi e alla fine mi son reso conto di aver fatto un disco intero. È stato un modo per capire anche che cosa io sia in grado di fare senza i compagni di sempre. In effetti ho da parte i brani per il secondo disco solista, originali, e per un disco a quattro mani con Stella Burns. Poi dovrebbe venire a trovarmi Liam McKahey e di certo registreremmo almeno un Ep. Anche con Barbagallo, l’ultima volta che ci siamo visti, ci siamo detti: perché non registriamo qualcosa? Sì, sono nevrotico.

'Covers On My Bed, Stones In My Pillow' è composto da 10 brani freschi, ma non nuovi. Musicista e autore, proponi un album di signore cover che interpreti con personalità cambiandone abito e arricchendole di stile personale. Come mai hai scelto di esordire da solista con un album esclusivamente di rifacimenti?
Come ho detto, il disco è nato quasi da solo ed è stata Cinzia (HardTimes Management) a convincermi a pubblicarlo e anche a renderne possibile la commercializzazione, insieme a Desvelos e Audioglobe. Sono consapevole che le canzoni non avessero bisogno di me, ma io avevo bisogno delle canzoni. Paradossalmente, è un disco che sento molto intimo e personale, anche se non ho scritto nulla di mio pugno.

Le cover, nella maggior parte dei casi, rappresentano la scelta giusta che dà la possibilità di espressione, la facoltà di stravolgere e l'opportunità di personalizzare un brano. In quale modo ti rapporti con l'interpretazione dei brani? Quali sono i tratti emozionali e distintivi nell'esecuzione?
Parto dal testo. Ci sono parole di grandi autori che sono molto più universali e profonde di qualunque successo del momento. Canzoni scritte molto prima che io nascessi che parlano esattamente di me e per me, oggi. Un interprete deve fare i conti con i propri limiti e col proprio stile, ma ha l’opportunità di mettersi alla prova con canzoni difficili da rovinare. È come essere fantini amatoriali in sella a un purosangue: si rischia di cadere a ogni metro, però non è difficile far correre il cavallo. Per fortuna, non si tratta di una gara, ma di una cavalcata libera, domenicale. Che cosa c’è di meglio dell’interpretare le canzoni che vorresti aver scritto? Metti i suoni che preferisci sulle canzoni che ami e poi guardi che succede.

Sei un musicista polistrumentista, e in 'Covers On My Bed, Stones In My Pillow' ricopri molti ruoli, tra cui quello di produttore. Questo album è stato registrato nel salotto di casa e poi completato nello studio della Good Luck Factory. In questo disco senti di esprimere tutta la tua poliedricità artistica?
Sento di aver dato tutto e mostrato tutto, limiti compresi. Ho fatto parecchi errori, con le registrazioni, che poi hanno contribuito alla particolarità del suono. Non potendo eliminare il rumore di fondo, l’ho integrato: in Wayfaring Stranger, alla fine, si sente la scavatrice dei lavori stradali che fa una base ritmica, così come parte del solo di armonica è implementato dal fischio dell’acqua nei tubi. E lo stendibiancheria fa da piatto splash. Diciamo che il disco è proprio l’opposto di quasi tutto ciò che si sente più facilmente in giro. È casalingo e polveroso, spontaneo ma anche molto curato. Thomas Guiducci, nella sua Good Luck Factory, mi ha aiutato molto. E poi Antonio Gallucci ha provveduto a un mastering avventuroso. L’album non contiene nulla di davvero difficile da eseguire, ma quasi tutto è stato piuttosto impegnativo da arrangiare. Alcune canzoni sono molto rispettate, anche se la mia voce è diversa da quella dell’autore, mentre altre sono state piegate alle mie esigenze e alle mie capacità. Ci va una bella faccia tosta, lo so, ma anche molta umiltà. Il risultato mi pare buffo e stimolante, spero più sincero che non semplicemente spontaneo.

Quali sono le caratteristiche e le motivazioni legate alla scelta di queste 10 canzoni?
Sono composizioni e liriche che mi permettevano quel tipo d’immedesimazione – anche un poco infantile – che sempre fa il cuore delle reinterpretazioni. C’era l’azzardo e la libertà rispetto a uno standard. È una cosa che ti permette di porre la tua versione come variazione sul tema, che funziona proprio rispetto all’originale. Love Me Tender è diventata il rantolo di un maniaco al telefono, nel cuore della notte, e insieme è la canzone che conosciamo. Forse è una sorta di Elvis in ospizio, o sul letto di morte. O forse sono io che canto Love Me Tender, semplicemente, conscio della marginalità dell’ennesimo rifacimento. For The Good Times è cambiata pochissimo, ma evidentemente io non sono Kristofferson. Cold Cold Heart è musicalmente rivoluzionata e flirta con la drone music, ma la tonalità è quella originale… anche se la voce si trova un’ottava sotto. A Mother’s Last Words è una delle poche canzoni religiose che mi commuovono sempre e ha una melodia magnifica. Wayfaring Stranger è una cover che eseguo anche con i Dead Cat, ma con loro è in 7/8, con attitudine garage ed esiti Beefheartiani: questa invece è la mia. Lovers è una misconosciuta canzone sulla disillusione, scritta da Tyla, dei Dogs D’Amour, con cui ho bevuto un bel po’ di vino, un bel po’ di tempo fa. Non ho ancora avuto il coraggio di fargli ascoltare la mia versione di un brano che sostanzialmente parla degli affari suoi… Peggy Sue ha sempre avuto un testo da porch-song e l’ho trattata un poco nel solco di Howe Gelb (nelle intenzioni): due omaggi in uno. Tutte le canzoni parlano a loro modo d’amore, speranza e impatto della realtà. E The Eternal è il manifesto che tutti conosciamo. L’ho trasformata in un requiem dell’Est e l’ho cantata con vere lacrime in gola. Spero che il buon Ian possa perdonarmi.

Per la registrazione di 'Covers On My Bed, Stones In My Pillow' hai scelto musicisti di alto livello. Li presenti?
Thomas Guiducci è un cantautore e interprete personale e appassionato. Gli invidio il fatto di riuscire ad essere molto espressivo e molto intonato al contempo e condivido molto della sua visione, anche se di fatto siamo diversi negli esiti e anche nell’estetica. Ho coprodotto il suo ultimo disco e lui mi ha reso il favore sistemando un bel po’ delle mie registrazioni casalinghe. È un polistrumentista coraggioso con un background più simile al mio che non quello dei miei compagni d’avventura nei Dead Cat In A Bag (che è un progetto che vive anche grazie alle differenze e che giudico comunque la mia attività principale). Roberto Necco è il miglior banjoista che io conosca a prestarsi ad esecuzioni eterodosse. Fa cose che io non saprei fare ed è un compositore e arrangiatore che ammiro molto. Il suo progetto si chiama Yuki In The Basket. Francesca Musnicki è una violinista di formazione classica con la quale condivido esperienze musicali (e non) quasi impensabili. Principalmente suona cose molto lontane dal mondo di questo disco: si occupa specialmente di musica per eventi, ma anche teatro, sonorizzazioni e affianca al lavoro di musicista quello di consulente musicale. Abbiamo già suonato insieme coi Dead Cat, dal vivo, e in un progetto che si chiama Electro Strings. Suona molto diversamente da André, che avrebbe portato tutto di nuovo al suono della band.

Come è cambiato il tuo percorso artistico-musicale dalla prima nota con i Dead Cat In A Bag ad oggi?
Ai tempi ero più esperto di musica che musicista e basavo tutto sull’empatia e l’interpretazione. Oggi do più spazio alla tecnica e in parte anche alla teoria. Poi ho molti più tatuaggi, la mia barba è più bianca sulla parte sinistra e ho meno speranze e velleità.

Tra i tanti strumenti che suoni, ne esiste uno attraverso col quale riesci ad esprimere meglio le tue doti di musicista?
L’ocarina, che non suono, ma questa è un’altra storia. In realtà, sto studiando il duduk. Il banjo è lo strumento che preferisco maltrattare. La chitarra è una brutta bestia. Sul disco ho usato molto l’armonium e lo trovo fantastico.

Lavori anche in teatro come compositore, attore e musicista in scena. Tra i tuoi tanti ruoli ne esiste uno attraverso il quale ti identifichi di più?
La cosa che preferisco è scrivere canzoni. Ma di volta in volta divento quello che serve. Anche per motivi alimentari, diciamo. Ogni esperienza arricchisce. Meglio se ti pagano pure. Sono da poco stato in Svezia a lavorare su uno spettacolo di Erika Di Crescenzo che per una volta non mi vede in scena e l’esperienza mi è piaciuta molto.

Le prime date per la presentazione di 'Covers On My Bed, Stones In My Pillow' sono a settembre. Come ci sorprenderai?
Non lo so ancora. È un album particolare e non so se il live lo rispecchierà o meno. Di certo sarò da solo, con banjo e chitarra, e ci saranno anche altre reinterpretazioni. Confido di calcare i palchi su cui non ho potuto suonare con la band, anche per motivi di budget. E se con i Dead Cat portiamo in giro un vero spettacolo di teatro-canzone, probabilmente come Swanz sceglierò la via più spoglia, leggera e spontanea. Ma non è ancora detto. Provo quasi ogni giorno e trovo sempre cose nuove. Al momento sono sulla loop station, ad esempio.

Dove e quando incontrarti?
Le date sono ancora in via di definizione. Man mano, le renderemo note sul sito (www.deadcatinabag.org) e sui vari social. La fanpage su Facebook è sempre aggiornata. Sul resto, ci si lavora.

Vorrei concludere con una riflessione sulla musica degli ultimi anni. Oggi c'è forse un meccanismo che si è inceppato, o magari c'è un sistema che funziona fin troppo bene anche se un po' 'leggero', in tutti i sensi, qualità compresa. Quale potrebbe essere un'eventuale soluzione all'incognita, non avendo ancora chiaro dove stia e qual sia la complicazione? Che cosa ne pensi?
Come appassionato di musica, devo ammettere di ascoltare principalmente cose non recenti. Come musicista, non credo di far parte – nel bene e nel male – di quel mercato o di quella scena che normalmente si chiama indie. Non credo di avere le competenze e l’esperienza per poter fare il punto della situazione. Vedo, come tutti, una certa tendenza alla più sfacciata imperizia contrabbandata per urgenza espressiva e per la banalità scambiata per universalità. Tento di pensarci poco. Non sempre ci riesco.

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