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Inchieste, Sociale

La strada è la loro casa

Le nostre inchieste - Nelle vie di Milano per incontrare chi purtroppo non ha più nulla. Storie e immagini di persone che sognano una nuova vita e un futuro diverso.

Maria, Abdelaziz, Luca, Fiore, Bobi… la strada è la loro casa. Non ci sono porte, finestre o stanze, ma ci sono solo e soltanto loro: il cielo sopra la testa e attorno la tanta gente che quotidianamente gli passa accanto e il traffico caotico della città con i suoi rumori e la sua fretta. Un giorno pure e l’altro anche è sempre così, perché un tetto dove stare purtroppo non ce l’hanno, nemmeno un lavoro (o meglio per qualcuno sono piccoli impieghi saltuari e qualcuno ancora cerca di arrangiarsi come può grazie alla musica) e né tantomeno una famiglia (chi non la vede più da anni e anni, chi ha chiuso definitivamente ogni rapporto, chi ha i parenti lontani, in uno altro Paese e chi li ha persi). Perché è lì, sotto un portico, su un marciapiede, in uno dei tunnel della metropolitana, su una panchina o sugli scalini di una palazzina, di un’abitazione oppure di un’attività commerciale che abitano. Donne e uomini molto diversi tra loro (per nazionalità e storie); donne e uomini che hanno alle spalle situazioni altrettanto differenti, tutti però oggi accomunati da quello stesso identico destino che li costringe a vivere appunto per strada. “Cosa posso dirvi – racconta Maria, 52 anni di Napoli – Sono a Milano da 2 anni e da 2 anni le vie della città sono diventate la mia casa. Sto qui, nei pressi della stazione Centrale: la mattina giro nella zona, parlo con le persone che incontro (e credetemi, ce n’è ancora di gente buona al mondo, benché se ne dica! Certo, alcuni se possono cercano di evitarti, in qualche caso ti guardano anche in maniera strana, comunque devo ammettere che ho sempre trovato grande solidarietà) e poi per mangiare, o mi reco in qualche struttura specifica oppure pranzo e ceno con i panini. Ci sono, inoltre, i volontari che passano a portarci aiuto: alimenti, vestiario, coperte, ecc…”. Maria, alla fine, lì è come se avesse trovato quasi una sua nuova famiglia. Proprio accanto a lei, infatti, ecco Abdelaziz, 51enne di origini tunisine. Lui e la 52enne napoletana sono amici (lo sono diventati un po’ alla volta, condividendo la stessa vita e ogni singolo istante della giornata, persino il posto, sotto i portici davanti ad un istituto bancario). “Non ho sempre vissuto in questo modo – spiega proprio Abdelaziz – Sono arrivato in Italia alla fine degli anni ’80 e ho lavorato come panettiere per diverso tempo in provincia di Varese. Poi il titolare dell’attività è venuto a mancare, io ho continuato, fino a che il negozio ha abbassato la saracinesca e per alcuni problemi personali ho perso purtroppo tutto. La mia vita adesso è questa, per strada: il mattino mi sveglio presto, prima che apre la banca di fronte e la sera sistemo le mie cose (una brandina, delle coperte, pezzi di cartone) per coricarmi quando lo stesso ufficio ha già chiuso (è una questione di rispetto per gli impiegati e per i clienti), mentre il resto delle ore le passo tra la stazione, la mensa dove ci offrono un pasto caldo e le aree attorno. Qual è il mio desiderio? Vorrei trovare un lavoro, qualsiasi, per potermi permettere una casa e di vivere normalmente. E a chi mi chiede, poi, com’è la gente che incontro: ci sono tante persone buone, tante che passano e ti lasciano qualcosa (oltre ai tantissimi volontari che non ci fanno mai mancare il loro sostegno). Ma non nego che stare per strada mette anche paura, non sai mai chi ti può capitare davanti”. “Il mio passato è stato complicato e problematico, non mi nascondo e non mi vergogno ad ammetterlo – ribadisce Luca, 25 anni di Busto Arsizio; le sue zone sono Corso Vittorio Emanuele e via Torino; è in questi due punti della città che si muove – Durante la giornata sono qui, la notte, invece, ho trovato un posto in una delle gallerie vicine dove sistemo le mie cose e dormo. Le associazioni di volontariato ci danno una grande mano: ci portano abiti, cibo e il necessario per proteggerci dal freddo; oppure per mangiare vado a cercare tra i bidoni, fuori dai ristoranti, quello che viene buttato. So fare diversi mestieri, la mia speranza è che qualcuno mi dia la possibilità davvero di lavorare per raccogliere qualche soldo e avere così un tetto dove ripararmi. Per chi è nella nostra situazione, ci sono delle strutture apposta, sinceramente però non riesco ad utilizzarle (o almeno non sempre), mi sembra di approfittarne”. L’ultima domanda, infine, anche per Luca, è la stessa fatta a Maria e Abdelaziz: esiste la solidarietà della gente nei vostri confronti? Come sono le persone quando vi vedono o vi incrociano? “Tanti sono buoni – conclude il 25enne – Passano e mi lasciano qualcosa; altri, invece, fanno di tutto per evitarti. Se solo magari si fermassero semplicemente per un saluto o per scambiare quattro chiacchiere, capirebbero che siamo essere umani come loro e che molto spesso chiediamo soltanto di poter parlare con qualcuno, per sentirci meglio e non emarginati”. “Ho 45 anni e vengo dalla Bulgaria – afferma Bobi – Quando sono arrivato in Italia ho trascorso del tempo prima in Puglia, quindi a Pescara, Torino e adesso sono a Milano. Ho fatto alcuni lavori, fino a che sono rimasto senza un impiego e una casa. Non ho più i documenti, mi sono stati rubati, e sono in attesa che mi vengano rifatti. Oggi vivo tra la strada e le strutture abbandonate; il mio desiderio è quello di tornare in Bulgaria e i soldi che raccolgo chiedendo l’elemosina mi servono proprio a questo, per comprare il biglietto aereo”. La strada, dunque, è la loro casa; ma quella stessa strada per alcuni è diventato anche il luogo dove esprimere la propria arte, come nel caso del 46enne Fiore e del suo organetto, con il quale allieta e intrattiene i pendolari di passaggio alle fermate della metropolitana milanese. “Sono invalido all’80%, a causa di problemi mentali – conclude – Allora, come dico io, mi arrangio così, suonando. Ho fatto pure altri lavori, però temporanei (giusto il tempo di cui c’era bisogno). La musica è sempre stata la mia grande passione, sono un autodidatta, ho imparato a suonare da solo e per vivere, anzi sopravvivere, insomma faccio questo, spostandomi tra la stazione Centrale e piazza Duomo. Per mangiare, invece, mi affido a qualche struttura che aiuta i bisognosi e per dormire ho un piccolo camper. Si dice spesso, infine, che la solidarietà diminuisce sempre di più: la gente che ti da qualcosa c’è, eccome, soprattutto gli anziani e i giovani”. (FOTO ELIUZ PHOTOGRAPHY)

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SIAMO TORNATI CON UNA PROMESSA, MA CI SERVE ANCHE IL VOSTRO AIUTO

Il nostro giro per le strade di Milano si è concluso con una promessa. Che ci siamo fatti a noi stessi e che abbiamo fatto soprattutto alle persone incontrate e con le quali abbiamo parlato. Ma perché questa promessa possa diventare realtà ancora di più, serve anche la collaborazione di tutti voi. Abbiamo, infatti, deciso di attivarci come giornale con una raccolta di materiale vario che poi consegneremo nei giorni che precedono il Natale a chi in queste due pagine ci ha raccontato la sua storia e ai senzatetto del capoluogo. Generi alimentari e abiti sono le principali richieste che ci sono arrivate dalle persone intervistate e noi proveremo, allora, ad esaudire almeno questi desideri. Chi volesse darci una mano, lo potrà fare consegnando il necessario direttamente alla nostra redazione (via Garibaldi 5, Cuggiono) da martedì 6 a lunedì 12 dicembre, oppure chiamandoci al numero 02/97249426 per avere maggiori dettagli. Ci sarà tempo, dunque, fino al 12 dicembre e poi, in quella stessa settimana, consegneremo personalmente quanto raccolto.

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