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Storie

Lassù in alto a 4165 metri

Dalle maratone classiche a quelle nel deserto alla cima del Breithorn. La storia e l'esperienza dell'imprenditore 43enne Daniele Barbone. "Un'emozione unica e speciale".

Se fosse un film, molto probabilmente, si chiamerebbe “Il maratoneta in alta quota”. Se fosse un libro, invece, riprendendo proprio il suo scritto pochi mesi fa (“Dall’ufficio al deserto” edito da Corbaccio), forse basterebbe sostituire quella parola deserto appunto con montagna. Perché laddove c’è un’impresa, o come lui stesso ama definirla un’esperienza unica e particolare nel suo genere, c’è anche Daniele Barbone. Quando si dice “toccare il cielo con un dito”… beh, in fondo, lassù a 4165 metri di altezza non potrebbe essere diversamente. Lo sa bene il 43enne imprenditore, piemontese di origine, ma milanese ormai d’adozione: dalle più classiche maratone su strada e dagli affascinanti appuntamenti nel deserto alla “prima volta” lungo la salita al Breithorn. Molto più di un viaggio, bensì l’occasione per mettersi di nuovo in gioco e soprattutto un momento di ulteriore crescita personale. “La parte fisica e atletica certo è importante – racconta Barbone – Però in parallelo questa avventura è stata un mix di cultura e scoperta di un mondo fino a quel momento per me quasi sconosciuto. Per gli alpinisti, infatti, il percorso scelto è qualcosa di normale e praticamente abituale, per me invece che arrivo dalla corsa è una novità assoluta”. Senza dimenticar, poi, il significato profondo che sta dietro all’iniziativa. “Ho voluto farla proprio ora perché nel 2015 è il 150esimo anniversario della prima salita al Cervino, nonché il medesimo anniversario della nascita del CAI e il 50esimo della solitaria di Walter Bonatti sulla nord del Cervino – continua – Quale momento migliore, dunque, per provare a realizzare questo mio sogno?”. Allora, zaino in spalla, tutto il materiale necessario pronto (insieme anche il libro di Messner che parla proprio del Cervino) e si va. “Con me c’erano la guida e una ragazza olandese – spiega – Non c’è un istante che ricordo più di altri, ogni singolo passo ti lascia qualcosa dentro. C’è la fatica, ovviamente, ma è in modo particolare la sensazione di vuoto attorno che senti maggiormente. Non sai come il tuo corpo reagirà all’alta quota ed è quella la prova più dura. Sali, sali e vedi la metà che si avvicina, però una volta là delle mille cose che avevi pensato di fare non c’è tempo, perché devi prepararti subito per scendere”. Pochi minuti, insomma, giusto per qualche selfie o per un’occhiata al panorama (“Pazzesco – afferma – Il monte Rosa, il Bianco e il Cervino. Immagini che non dimenticherò mai”) e, quindi, si riprende il cammino per tornare giù. “Alla fine in 4 ore e mezza siamo riusciti a portare a termine l’esperienza – conclude Barbone – Cosa aggiungere d’altro? La rifarei? Certo. Anzi ho già in programma due appuntamenti per il prossimo anno: innanzitutto il deserto tra Argentina e Cile, poi vorrei raggiungere la cima del Rosa”.

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