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Expo 2015, Storie, Turbigo

Il padiglione coreano parla turbighese

Lo studio professionale 'AR.IN. Studio' degli ingegneri Luigi Paolino e Marco Cagelli ha curato direttamente il progetto esecutivo del padiglione della Corea del Sud.

L'Expo parla sempre più italiano. E non è solo per il fatto che si terrà da noi o per il Padiglione Italia (il punto centrale dell’esposizione universale), ma anche e soprattutto perché sono stati diversi gli stati europei ed extra Europa che proprio sulle realtà del Bel Paese si sono affidati per organizzarsi in vista appunto di questo importante appuntamento. Quando le eccellenze di ‘casa nostra’ tornano ad essere un riferimento per tutto il mondo. Ne sa qualcosa lo studio professionale ‘AR.IN. Studio’ di Turbigo che, in collaborazione con l’architetto Maurizio Carones di Milano, ha realizzato il progetto esecutivo e messo ‘nero su bianco’ le pratiche autorizzative per il padiglione della Corea del Sud.

Ma come si è arrivati a questo? Chi, allora, meglio di Luigi Paolino e Marco Cagelli, i due soci di ‘AR.IN. Studio’, alla fine, possono rispondere...?

“Il lungo rapporto di conoscenza in ambito universitario tra il professor Paolino e il prof. Carones, che da anni ha contatti professionali ed accademici con la Corea del Sud, ha permesso di concretizzare il prestigioso incarico di ‘local architect’ per la redazione del Detailed Design (progetto esecutivo) del padiglione, direttamente conferito dalla Corea”.

Quali sono stati i tempi per realizzare il progetto e ottenere i permessi?

“Tutto il progetto (architettonico, strutturale ed impiantistico) è stato completato in meno di due mesi, tra aprile e giugno 2014. Un tempo assai breve, se si considera la complessità dell’edificio. Questo obiettivo è stato raggiunto grazie alla notevole sinergia tra i collaboratori del nostro Studio, alla disponibilità dello staff di progettazione a sostenere ritmi di lavoro inusuali (sabato e domenica e qualche nottata...) nonchè alla consuetudine dello Studio a sviluppare progetti di dimensioni e complessità analoghi al Padiglione Coreano”.

Quindi, come vi siete coordinati con la committenza?

“E’ stato l’aspetto più complicato, ma anche forse il più interessante. Abbiamo dovuto interagire utilizzando tutte le più recenti potenzialità informatiche, dialogando sempre in lingua inglese e, qualche volta, con l’ausilio di traduttori coreani. Un aspetto, poi, particolarmente ostico è stato rappresentato dalla necessità di ‘convincere’ i nostri committenti circa le specifiche normative italiane, evidentemente ben diverse da quelle coreane”.

E, ora, entrando nello specifico del Padiglione: quali le caratteristiche principali?

“Il ‘Korean Pavilion’ è uno dei più grandi di Expo, con una superficie di circa 5000 mq distribuiti su tre livelli, per un’altezza massima di circa 17 metri raggiunta nei punti più alti e per una lunghezza di circa 150 metri. Il concept, cioè l’idea architettonica messa a punto in Corea, ha generato un padiglione con caratteristiche di grande fisicità, simile più ad un edificio permanente che non ad una struttura destinata (fino a prova contraria) ad essere smantellata a fine esposizione. Ancora un aspetto tipico del Padiglione è costituito dalla presenza di cupole e torri nonché da una configurazione molto plastica della superficie esterna, che sui lati est e sud è rappresentata da una superficie curviliena che avvolge lo spazio interno con una forma organica e flessuosa. La struttura portante è realizzata completamente in acciaio e abbiamo previsto l’uso della ventilazione naturale per ridurre il surriscaldamento estivo, tramite l’effetto camino, l’uso di vegetazione interna al piano uffici per la purificazione naturale dell’aria e l’utilizzo di sistemi di illuminazione a basso consumo. Infine, l’edificio è dotato di efficaci sistemi di isolamento passivo, con grossi spessori di isolante termico in fibre naturali, l’adozione di tecnologie innovative di ‘facciata ventilata’ e coperture ventilate. Inoltre è stato prevista l’adozione di materiali a basso impatto ecologico e facilmente riciclabili al momento della demolizione”.

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