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Attualità

Cellulare ai minori: dibattito aperto

Lo psicoterapeuta Pellai: “No smartphone prima dei 14 anni, no social prima dei 16 anni”. Un dibattito sempre più aperto che coinvolge genitori e realtà educative.

Tra le voci più autorevoli in Italia su questo tema c’è Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta dell’età evolutiva. Da anni invita i genitori a un gesto di coraggio: “no smartphone personale prima dei 14 anni, no social prima dei 16”. Non si tratta di un semplice divieto, spiega, ma di una scelta di protezione: “Il cervello dei ragazzi sotto i 14 anni non è ancora pronto a gestire la complessità di uno strumento che mette in contatto con il mondo intero. Serve tempo, esperienza, e la presenza degli adulti”. Negli ultimi anni, molti Paesi stanno iniziando a interrogarsi. In Francia, ad esempio, gli smartphone sono vietati a scuola fino ai 15 anni. In Inghilterra, diversi istituti hanno introdotto il “no phone policy”. E negli Stati Uniti si moltiplicano i movimenti di genitori che chiedono di posticipare l’età del primo cellulare (“Wait Until 8th” – “Aspetta fino alla terza media”). La preoccupazione nasce da studi ormai numerosi: uso precoce dei dispositivi digitali e accesso libero ai social network possono aumentare i rischi di ansia, isolamento, difficoltà di concentrazione e disturbi del sonno. L’American Academy of Pediatrics e l’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomandano da tempo di limitare fortemente l’esposizione agli schermi nei bambini e di accompagnare con regole chiare quella degli adolescenti. I dati parlano chiaro. Secondo recenti ricerche, i ragazzi che ricevono uno smartphone prima dei 13 anni presentano tassi più alti di pensieri depressivi e difficoltà emotive, rispetto a chi lo riceve più tardi. L’utilizzo serale influisce sul sonno, mentre le ore trascorse online sottraggono tempo ad attività preziose per la crescita: sport, lettura, gioco libero, amicizie “dal vivo”. Lo smartphone, inoltre, introduce una disponibilità continua: notifiche, chat, social, confronto costante. Tutti stimoli che per un cervello in formazione possono diventare una fatica. Ma non è solo questione di salute. È anche una sfida educativa. “I nostri figli devono imparare – ricorda Pellai – a vivere momenti di noia, silenzio e disconnessione: è lì che nascono la fantasia, l’empatia e la capacità di ascoltare se stessi”. Eppure, come spesso accade, non esiste una risposta unica. Alcuni studi recenti mostrano che, se accompagnato da regole chiare e da una supervisione attenta, l’uso dello smartphone può anche favorire l’autonomia, la responsabilità, la comunicazione con la famiglia. Molte famiglie hanno trovato una via intermedia: un telefono “di famiglia”, usato in casa e condiviso tra i figli, oppure un dispositivo personale ma con limiti severi di tempo e funzioni. Un’ora al giorno, niente social, nessun telefono in camera la sera. Piccole regole che aiutano a trasformare il cellulare in strumento e non in padrone. Per altre famiglie, la soluzione è stata quella di posticipare la consegna del telefono ma garantire comunque la possibilità di comunicare, per esempio attraverso un cellulare semplice solo per le chiamate. Forse la vera sfida non è “quando” dare il cellulare, ma “come” educare all’uso consapevole. Serve un patto familiare: orari, luoghi, limiti, momenti senza schermo. E soprattutto, serve l’esempio degli adulti. Perché i ragazzi osservano e imparano da ciò che vedono.

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