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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trumph ha annunciato che Israele e Hamas raggiungono un accordo per il cessate il fuoco a Gaza. Alle 11 italiane la firma poi il rilascio degli ostaggi, lo scambio con i prigionieri e il ritiro parziale delle truppe.
Un barlume di speranza torna ad affacciarsi sul Medio Oriente. Dopo mesi di combattimenti, tensioni e migliaia di vittime civili, Israele e Hamas hanno raggiunto la prima fase di un accordo di cessate il fuoco, frutto di intense trattative portate avanti tra Washington, Doha e Il Cairo. Una notizia che nelle ultime ore sta facendo il giro del mondo e che – seppur fragile e provvisoria – riaccende la speranza di una tregua duratura nella martoriata Striscia di Gaza.
A dare per primo l’annuncio è stato l’ex presidente americano Donald Trump, mediatore del piano, che sui suoi canali social ha dichiarato: «Israele e Hamas hanno entrambi firmato la prima fase del nostro piano di pace. È un grande giorno per Israele e per il mondo intero». Parole che segnano un momento di svolta, anche se accompagnate da molte cautele.
L’intesa, secondo quanto reso noto dai mediatori internazionali, prevede tre punti principali. Innanzitutto un ritiro parziale dell’esercito israeliano da alcune aree della Striscia, con la definizione di una “linea concordata” che dovrà essere monitorata da osservatori internazionali. Poi, il rilascio graduale degli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas, stimati in una ventina, in cambio della liberazione di un numero consistente di prigionieri palestinesi. Infine, l’apertura di corridoi umanitari per permettere l’ingresso di aiuti alimentari e sanitari, oggi indispensabili per una popolazione allo stremo.
Ma se la parola “pace” è tornata a circolare, gli ostacoli non mancano. Restano ancora aperte le discussioni su alcuni nomi eccellenti – come quelli dei leader palestinesi Marwan Barghouti e Ahmad Saadat – che Israele non intende includere negli scambi. E soprattutto resta il nodo più complesso: quello del futuro governo di Gaza, del ruolo di Hamas e delle garanzie di sicurezza per entrambe le parti.
Dalle capitali del mondo arrivano intanto reazioni di cauto ottimismo. Il segretario generale dell’ONU, António Guterres, ha parlato di «un primo passo necessario verso la fine delle ostilità», mentre il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha definito l’accordo «una vittoria della diplomazia e della determinazione». Da parte sua, Hamas ha confermato l’impegno all’attuazione dei punti previsti, ma ha tenuto a precisare che «la resistenza palestinese non rinuncia ai propri obiettivi».
Sul terreno, intanto, la situazione resta delicata. Dopo oltre un anno di bombardamenti, Gaza è un cumulo di macerie: case distrutte, ospedali al collasso, centinaia di migliaia di sfollati senza acqua né elettricità. L’apertura dei corridoi umanitari potrebbe rappresentare una boccata d’ossigeno per la popolazione civile, ma la vera sfida sarà trasformare questa tregua in qualcosa di stabile e duraturo.
Non si parla ancora di pace, ma di una tregua possibile. Eppure, dopo tanto dolore, ogni piccolo passo può fare la differenza. Se le promesse verranno mantenute, se i cannoni taceranno davvero e se gli aiuti arriveranno a chi ne ha bisogno, forse questo ottobre potrà essere ricordato come l’inizio di un nuovo capitolo.
Per ora, è solo un fragile spiraglio. Ma in una terra dove la guerra è diventata quotidianità, anche una tregua di pochi giorni può sembrare, finalmente, un passo verso la speranza.