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Cultura, Novara

Cultura, Novara

Intervista a Corinne Baroni

Dal 2018 Corinne Baroni è Direttore del Teatro Coccia di Novara, nonché una delle figure di riferimento internazionali per il settore teatrale.

Dal 2018 Corinne Baroni è Direttore del Teatro Coccia di Novara, nonché una delle figure di riferimento internazionali per il settore teatrale. Parte del comitato permanente di promozione del turismo in Italia, tra i suoi successi figura il ripristino dello storico premio internazionale di direzione d’orchestra “Guido Cantelli”. Ho avuto il piacere di conoscerla in occasione del “Concerto oltre i confini della musica”. Con la sua eleganza mi ha accolto - insieme agli altri partecipanti - sul palcoscenico del Teatro, per una serata indimenticabile. Con un buon calice di vino in mano, e una prospettiva del Teatro che raramente si ha il piacere di ammirare, sono stato pervaso dalle vibrazioni del violino, del pianoforte e del violoncello del Trio Amiternum. L’attrice Elena Ferrari, nella figura della principessa Cristina Trivulzio di Belgiojoso, creava un dialogo costante con gli artisti e gli spettatori. Dialogo vicino, quasi onirico, per una percezione a nove sensi.

Direttore Baroni, può dirmi di più sullo spettacolo del quale ho avuto la fortuna di essere spettatore?
Quello a cui ha partecipato è un esperimento. Un’esperienza che parte dalla potenza di un
concerto per trasformarne i partecipanti. Alla base c’è, nitida, l’immagine dei salotti dell’Ottocento, spazi di ritrovo borghesi dove veniva eseguita musica da camera e dove si coltivava convivialità, oltre che cultura. Per essere precisi, questo appuntamento era il capitolo conclusivo di un ciclo iniziato nel 2024. Abbiamo organizzato quattro incontri, ciascuno in un castello o in una villa diversa, come ad esempio nel Castello Visconteo Sforzesco di Galliate. In ciascuno, i partecipanti venivano ricevuti da me e dal proprietario - o responsabile - della struttura con un calice di vino, selezionato nelle cantine locali e, dopo una visita guidata, fatti accomodare nella stanza che accoglieva il Bösendorfer, il meraviglioso e imponente pianoforte a coda gentilmente fornito dal fabbricante, nonché main sponsor dell’iniziativa. A suonarlo solisti di primo piano, da Alexander Lonquich a Roberto Cominati.
Prima di iniziare, il maestro della Bösendorfer illustrava ai presenti le qualità dello strumento. La bellezza del suono può essere percepita da tutti, ma il suo valore necessita spesso di essere compreso. Bisogna capire perché sia necessario così tanto lavoro e precisione per ottenere una tale opera d’arte. Come per il concerto al quale lei ha partecipato, ho chiesto ad Alessandro Barbaglia di scrivere un testo, che poi veniva interpretato tra i brani in programma. In questo modo, siamo riusciti a creare un continuum temporale in grado di far ampliare la sfera sensoriale all’interno della quale venivano catapultati i partecipanti. Ciascun appuntamento si concludeva con una cena. Interessante osservare come i partecipanti si trovassero immediatamente in sintonia ma, soprattutto, percepire come fossero completamente e radicalmente cambiati rispetto all’inizio della serata.

Mi sembra di capire che per lei il ruolo fondamentale del teatro sia quello di fucina di cambiamento. Non solo culturale, ma anche e soprattutto esperienziale. Cosa significa essere Direttore del Teatro Coccia, e come vive questa responsabilità?
Come forse è trasparito, la mia passione più grande è quella di trasformare persone e cose. Adoro il cambiamento, vedere ciò che mi circonda mutare in qualcosa di meglio, di più bello. Vedo nel teatro - e in particolare nel Teatro Coccia – uno strumento con il quale trasformare un intero territorio, agendo sul suo tessuto sociale e culturale. Questo processo richiede decenni, e probabilmente io non avrò il tempo di vederne tutti i frutti. Però mi piace l’idea di poter lasciare una fiammella che qualcun altro possa ricevere e far crescere ulteriormente. Il teatro non è un semplice edificio, ma una vera e propria entità vivente, con una sua energia. Emana vibrazioni che è difficile non percepire. Soprattutto per le persone con una certa sensibilità, frequentarlo significa assorbirle e interagirci. Questo vuol dire che un teatro può essere estremamente generoso, ma anche terribilmente pericoloso. Soprattutto per chi, come me, lo abita. Da Direttore del Teatro Coccia, il primo compito che mi sono posta è stato quello di ascoltarlo, fondendomi con le sue pareti. Mi sono resa conto di diversi problemi, sia a livello strutturale che, purtroppo, amministrativo. Mi sono impegnata, quindi, a dargli nuova vita. Partendo dal personale, fino ad arrivare alla struttura fisica, mi sono adoperata affinché ritornasse a emanare la giusta energia. Questi cambiamenti, sommati alla necessaria programmazione di un teatro di tradizione come il Coccia, hanno reso il mio lavoro piuttosto difficile. Però è la vita che ho scelto, non saprei vivere in altro modo. In ogni caso, ora la sfida principale sarà quella di far maturare il “substrato” circostante il teatro. La popolazione locale deve ancora riabituarsi a un’entità che per diversi anni ha perso il ruolo di primaria importanza che ha ricoperto nel ‘900. Ci tengo sempre a ricordare che era proprio qui a Novara che venivano fatti i debutti per la Scala di Milano. Come testimoniano le locandine degli archivi storici, il Teatro Coccia aveva un repertorio davvero incredibile. Poi questa consuetudine si è persa, chissà perché. Ma ci stiamo lavorando.

Il Teatro Coccia è l’unico Teatro di Tradizione presente in Piemonte. Come si inquadra nello scenario italiano?
Esistono due tipologie principali di teatro. Quelli più grandi e importanti generalmente sono fondazioni lirico sinfoniche. Si tratta di strutture con tanti dipendenti e budget molto elevati, dove è presente sia una compagine corale che orchestrale residente. Un esempio è il magnifico Teatro Regio di Torino. Poi ci sono i teatri più piccoli, come può essere quello di Vercelli. La differenza tra i due è il modo in cui vengono gestiti gli spettacoli. Mentre i primi li costruiscono internamente, i secondi tendono ad acquistare produzioni di altri teatri o, comunque, realizzate da compagnie esterne. Il Coccia è una sorta di via di mezzo, e il modo in cui lavora è unico in Italia. Diversamente dagli altri teatri di piccole dimensioni, infatti, allestisce le proprie opere. Questo significa che, nonostante abbia un personale non molto numeroso, e sia privo di una compagine assunta, acquista unicamente gli spettacoli di prosa. Siamo noi a scegliere il cast, il direttore d’orchestra, l’orchestra, la regia e lo scenografo. Adattiamo l’opera per renderla più idonea possibile al nostro pubblico e facciamo circa un mese di prove. Questo processo richiede un’accurata pianificazione e la presenza di figure ben qualificate. Io, essendo sia la responsabile artistica che quella amministrativa, devo giocare due ruoli. Mi posso lasciare andare alla parte artistica solo dopo aver stabilito i budget e impostato i vincoli fondamentali affinché lo spettacolo possa essere un successo, anche in termini economici.

Nel 2020 è riuscita, contro tutti i pronostici, a organizzare l’undicesima edizione dello storico premio internazionale per la direzione d’orchestra “Guido Cantelli”. Cosa l’ha spinta verso questo importante traguardo?
Quando sono arrivata, come saprà, il Premio Cantelli era morto da ormai quarant’anni. Data l’importanza che ha rivestito per la Città e il Teatro, però, sia i notabili che i nostri affezionati non hanno mai smesso di chiedere il suo ritorno. Dopotutto, consideri che si tratta di uno dei più prestigiosi e riconosciuti premi per direttori d’orchestra a livello mondiale. Per capirci, l’edizione del ‘67 premiò Riccardo Muti, allora solo ventiseienne e agli esordi della sua strepitosa carriera. La mia scelta si intreccia proprio con il suo nome: appena arrivata in Teatro, ricevetti il biglietto di un’abbonata, con scritto “Caro direttore, faccia rivivere il Premio Cantelli, ci riporti il Maestro Muti”. Il Premio sostiene le nuove generazioni, perché accoglie le iscrizioni di giovani tra i 18 e i 35 anni, provenienti da tutto il mondo. I diciotto talenti che vengono selezionati per le fasi finali sono scelti tra oltre 300 partecipanti pronti a raggiungere il proprio obiettivo a tutti i costi, con anima, corpo e spirito.
Riuscire a organizzare l’XI edizione è stata un’impresa titanica, non è un caso che il Premio fosse fermo da così tanti anni. Sicuramente è stato uno dei successi più importanti della mia carriera. Come lo sono state le due edizioni successive. Pensi, tra l’altro, al contesto storico della prima edizione. Nel 2020 eravamo in pieno periodo pandemia. Per garantire i distanziamenti, in teatro abbiamo dovuto mettere l’orchestra in platea e la giuria nei palchi. A vincere l’XI edizione è stata per la prima volta una donna, il genio assoluto Tianyi Lu, dalla Nuova Zelanda. Ora puntiamo a rientrare nella WIFC, ossia la federazione mondiale per le competizioni internazionali di musica. Non vedo l’ora di inaugurare la nuova edizione che, tra l’altro si terrà in occasione dei 70 anni esatti dalla morte del Maestro Cantelli.

Per ulteriori informazioni sul Teatro Coccia potete visitare il sito www.fondazioneteatrococcia.it dove trovate anche la sezione dedicata al Premio Cantelli.

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