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Over the Game

Gioventù ribelle

Il mondo degli adolescenti visto dall’occhio di Hollywood. Sei film con protagonisti teppisti, ragazzacci e giovani ribelli, attraverso un secolo di cinema.

Nel 1954 lo psichiatra Fredric Wertham pubblicò il saggio Seduction of the Innocent, un’aspra critica che attacca direttamente l’industria del fumetto americano. Il saggio denuncia tutte le raffigurazioni, esplicite o edulcorate, di violenza, sesso, uso di droghe e altri argomenti per adulti contenute nei "crime comics", un termine che Wertham usa per descrivere non solo i popolari fumetti dell'epoca che parlavano di gangster o di omicidi, ma anche i fumetti di supereroi e i fumetti horror. Il libro affermava, basandosi prevalentemente su aneddoti non documentati, che leggere questi fumetti avrebbe incoraggiato i bambini a imitare le oscenità e gli atti violenti. Ma è veramente così? Gli studi che seguirono dimostrarono che la teoria di Wertham non solo era inesatta, ma completamente pseudoscientifica; infatti, anche dopo l’istituzione del Comics Code Authority (l’organo di censura del fumetto statunitense), la delinquenza minorile non diminuì né tanto meno scomparve da un giorno all’altro. Questo perché il saggio di Wertham si concentra solo sul lato visivo che determinate immagini possono avere sulla psiche del giovane, ma ignora completamente il contesto sociale e culturale in cui esso vive. Infatti, gli scontri generazionali sono sempre esistiti fin dall’alba dei tempi, ma è solo con l’avvento dell’era moderna e dei mass media che il pubblico incominciò a interessarsi al fenomeno. Nel corso del XX secolo, mentre la psicoanalisi studiava il mondo dei giovani in ogni sua evoluzione sociale e culturale, il mondo del cinema incominciò a prendere a piene mani le storie e le vicende di quei ragazzi disagiati cresciuti fra la fine della Seconda Guerra Mondiale e l’avvento dell’era atomica, dando vita a un nuovo genere cinematografico molto variegato noto come “teen movie”. Questo genere di film affronta il punto di vista degli adolescenti e dei giovani adulti alle prese con i problemi e le difficoltà della vita di tutti i giorni. Se alcuni film come Bikini Beach, American Graffiti, Breakfast Club e Il tempo delle mele riguardano argomenti tipicamente adolescenziali, come lo stare con gli amici, i primi amori e i sogni e le speranze per il futuro, altri film come Il seme della violenza, I selvaggi, Zabriskie Point, La rabbia giovane, I guerrieri della notte e I ragazzi della 56ª strada affrontano il lato violento, contestatorio e autodistruttivo dell'adolescenza. I protagonisti di questi film sono per lo più ragazzi emarginati e disagiati, in lotta contro la società e alle prese con i problemi personali nel vivere quotidiano. In questo articolo ci concentreremo sulla figura dell’adolescente ribelle che, con il suo stile anticonformista e il suo atteggiamento da duro, sfida e contesta le regole della società moderna attraverso sei film diversi fra di loro, sia per personaggi che per contesto d’ambientazione, che però hanno in comune la rabbia adolescenziale, il desiderio di rivalsa sociale e la ribellione contro una società percepita come il vero nemico di ogni generazione.

Il selvaggio
Una banda di motociclisti, chiamata Banda dei Ribelli Motociclisti Neri, disturba una gara motociclistica entrando nel circuito e importunando gli spettatori. La banda viene allontanata, ma uno dei suoi membri riesce a rubare il secondo premio, un trofeo, e lo dà al loro capo, Johnny. Quindi la banda si dirige verso la cittadina di Wrightsville, dove i motociclisti si fermano schiamazzando e gareggiando tra loro, con grande disappunto e fastidio dei cittadini. L'unico ad accoglierli calorosamente è il padrone del bar locale che, pregustando un guadagno tanto più lauto quanto più i motociclisti si tratterranno, vanifica i già fiacchi sforzi dello sceriffo di accompagnarli fuori dalla città e disinnescare così la situazione. La banda, ormai in procinto di andarsene verso nuove avventure, sarà però costretta a restare in città a causa di un incidente accaduto a uno di loro. Inoltre, Johnny si innamora di una barista, peraltro figlia dello sceriffo, e tenta in ogni modo di sedurla e di farsi bello di fronte a lei. L'arrivo in città di una banda rivale, i Beetles, capitanata da Chino, non fa che peggiorare la situazione. Per una lite tra i due capibanda, un tempo compagni, nasce una violenta discussione che culmina con l'arresto di Chino. Presi dalla collera, i compagni semineranno il disordine nella città a bordo delle loro motociclette, innescando così la reazione dei cittadini che, offesi e irati, chiedono vendetta. Incominciamo questa classifica con un film che fece da spartiacque per il genere che sarebbe esploso due anni dopo. Il selvaggio, diretto da László Benedek nel 1953, rappresentò il primo sguardo sul mondo giovanile degli anni Cinquanta, in particolare sulle bande di motociclisti che imperversavano nella nazione in quel periodo. Benedek non analizza solo questi giovani irrequieti e arrabbiati, ma punta il dito anche contro una borghesia conservatrice, falsa e ipocrita, che non accetta nulla che non sia allineato come dovrebbe.
Come era prevedibile, alla sua uscita, il film venne attaccato da molte associazioni religiose e conservatrici, che lo definirono un inno alla violenza e al vandalismo. Naturalmente la pellicola non è niente di tutto questo, semmai cerca di imporre una riflessione sul tema della devianza, della rottura dei meccanismi del consenso e dell’insicurezza che nasce dall’approccio tra mondi diversi.
Il film è stato prodotto in un’America che già viveva un cambiamento; i giovani cominciavano a discutere con i genitori e vi era nell'aria una sorta di ribellione, e in qualche modo una svolta epocale. Johnny (interpretato da un magistrale Marlon Brando) incarna lo spirito della gioventù di quegli anni; in particolare del tipico ragazzo di strada all’apparenza tutto d’un pezzo, che però nasconde le sue incertezze e fragilità dietro una maschera da duro. Quando è in compagnia degli amici ha un comportamento da ragazzaccio che se ne infischia delle regole e del vivere civile, ma quando si trova da solo con la figlia dello sceriffo mostra un animo fragile e tormentato. Per certi versi il personaggio di Johnny è qualcosa di veramente innovativo per il cinema del periodo, una sorta di antieroe lontano dall'ottimismo di Cary Grant e dalle certezze patriottiche e conservatrici di John Wayne; un simbolo di ribellione e anticonformismo che rispecchia i dubbi, le paure e le angosce di una generazione, ma anche i sogni e le speranze per una vita migliore, lontano dai dogmi e dalle costrizioni di una società bigotta e repressiva.

Gioventù bruciata
Jim, Judy e Plato, tre studenti universitari, vengono fermati, con altri giovani, perché sospettati di aver bastonato un uomo, abbandonandolo poi svenuto sul ciglio della strada. Judy viene ricondotta a casa della madre. Plato, che non vive con i genitori, che sono divorziati, viene affidato alla sua governante. Per Jim arrivano al Commissariato i genitori e la nonna, che inscenano un litigio familiare. L'indomani Judy rifiuta un passaggio in automobile offertole da Jim. Più tardi egli la vede in mezzo ad un gruppo di studenti capeggiati da Buzz, che si mostrano ostili con lui. Dopo aver assistito ad una conferenza, Buzz e i suoi amici aspettano Jim: Buzz lo schernisce e lo schiaffeggia. Alla fine i due stabiliscono di misurarsi in una gara detta "chickle run": si tratta di correre in auto a grande velocità, verso il margine di uno spiazzo roccioso, oltre il quale il terreno scende a precipizio nel mare. Dei due concorrenti quello che, saltando dalla macchina, si troverà più vicino al precipizio, sarà il vincitore. Jim si lancia tempestivamente dalla macchina; Buzz resta impigliato alla maniglia dello sportello e precipita in mare. Malgrado il parere contrario dei genitori, Jim decide d'informare la polizia, dando origine a una serie di eventi che culmineranno in un finale tragico. Dopo l’uscita de ‘Il selvaggio’ bisognerà aspettare due anni per la consacrazione del genere dedicato ai ragazzi ribelli e problematici, con l’uscita di un film che fece ancora più scalpore di quello con protagonista Marlon Brando. ‘Gioventù bruciata’ di Nicholas Ray uscì nei cinema durante l’estate del 1955 e venne salutato dai giovani di una generazione come il primo vero film che affrontava il punto di vista degli adolescenti nell'America del boom economico. Nella metà degli anni Cinquanta, la società americana si godeva il proprio benessere e la supremazia economica, ma sotto la superficie covavano ansie e malesseri. Il mondo costruito dagli adulti e i loro valori non davano più alcuna sicurezza ai giovani, che iniziavano a farsi sentire e ad emergere, per la prima volta, come soggetti sociali con le loro proprie esigenze. Il pregiudizio comune pretendeva che la violenza giovanile germogliasse unicamente negli ambienti più poveri e degradati, ma Ray sapeva che non era così. Per questo fece del suo protagonista il tipico adolescente della media borghesia. Era inoltre un suo preciso desiderio quello di realizzare un film in cui il punto di vista dominante fosse non quello degli adulti, ma dei giovani: i loro valori, le loro richieste, il loro sguardo sul mondo. Se ne ‘Il selvaggio’ il personaggio interpretato da Marlon Brando rappresenta l’archetipo del delinquente proletario di nuova generazione, in ‘Gioventù bruciata’ il personaggio interpretato da James Dean capovolge completamente questo luogo comune, dimostrando che la violenza e la ribellione può avvenire anche in un contesto agiato e prospero come il ceto medio americano. Infatti quello che fece scandalo all’epoca, fu il fatto che il comportamento di Jim non nasce da problemi di natura economica o psicologica. La ragione vera è più di natura sociologica: la generazione che negli anni Cinquanta compiva cinquant'anni (i genitori di Jim) aveva conosciuto in età adulta i disagi della guerra e ora sognava un'America come quella di un tempo. La generazione di Jim prova un disprezzo per queste ambizioni, viste come frivole e volgari. Non nutre nostalgia per un passato che non ha conosciuto e non riesce ad aderire alle aspirazioni dei padri. Il tema principale del film è sicuramente il rapporto con le figure genitoriali; Jim, Judy e Plato sono alla disperata ricerca di un contesto famigliare che compensi il vuoto che percepiscono nella loro vita. I tre hanno un forte bisogno di amare ed essere amati in un mondo e in una società in cui non si riconoscono e che li vede come delle mine vaganti pronte a esplodere. ‘Gioventù bruciata’ è stato in un certo senso profetico per l’epoca; non solo perché ha anticipato certi aspetti della New Hollywood, come il ribellismo, la violenza e l'inquietudine giovanile che fatica a trovare un posto nel mondo, ma anche il crescente clima di dissenso medio borghese che sarebbe esploso anni dopo con la controcultura del Sessantotto.

Fragole e sangue
San Francisco. Simon, un giovane studente universitario privo di interessi politici e facente parte della squadra di canottaggio, viene convinto dal suo compagno di stanza Charlie a partecipare allo sciopero che si sta svolgendo all'interno dell'università contro la decisione del rettore di cedere alle Forze armate una parte dei terreni destinati alla comunità afroamericana, ma l'intenzione dei due ragazzi in realtà non è politica, quanto piuttosto l'interesse verso le ragazze che affolleranno l'ateneo. Nei giorni successivi, Simon nota una ragazza, Linda, un'attivista del movimento, ed insieme vengono preposti all'approvvigionamento dei viveri; insieme "requisiscono" degli alimenti, con la simpatica complicità del negoziante, desideroso di frodare l'assicurazione con la motivazione di una rapina, ed il giovane si scopre molto attratto dalla ragazza, che tuttavia dubita della sua dedizione alla causa. Le vicende che si snodano nel sottofondo della nascente storia d'amore tra i due ragazzi sembrano essere prese come un gioco, ma gli eventi che seguiranno porteranno in Simon una nuova consapevolezza civile, tanto da farsi egli stesso promotore di iniziative, fino alla sera in cui la polizia e la Guardia nazionale decidono di fare irruzione all’interno dell'università occupata. Nel 1968 lo studente di liceo James Simon Kunen pubblicò un diario che scrisse dal 1966 al ‘68, dove raccontava le sue esperienze durante l’occupazione della Columbia University di New York. Divenuto rapidamente un best seller, il libro venne adattato nel 1970 nell’omonimo film diretto da Stuart Hagmann. Ritenuto oggigiorno da diversi critici un film edulcorato, una fioca versione delle istanze di quegli anni, resta invece una pellicola fresca e briosa, invecchiata meglio di molte altre. Il regista, che veniva dal documentario, filma molte inquadrature macchina a mano, nel cuore dell'azione e nel mezzo della folla, con un effetto di vivacità e immediatezza del racconto. Non si fa mancare il guizzo autoriale di ripetuti movimenti circolari di macchina, efficaci (sebbene ridondanti) nel suggerire per buona parte della narrazione un sentimento di inclusione e collettività, e poi nelle scene finali un senso di accerchiamento. Oltre a questo il film di Hagmann ha il pregio di rompere con la tradizione dei film precedenti, dove i giovani ribelli venivano rappresentati come dei teppisti di strada cresciuti al margine della società; infatti il personaggio di Simon non è un duro come Marlon Brando e non ha il fascino melanconico di James Dean, è semplicemente uno studente come tanti che non ha grandi aspirazioni nella vita oltre al canottaggio e che se ne infischia altamente del clima politico che lo circonda. Solo dopo l’incontro con Linda inizia a maturare e a prendere a cuore la causa per cui la ragazza sta lottando; la crescita di Simon rappresenta la presa di coscienza delle nuove generazioni cresciute negli anni Sessanta (sospese tra il brutale omicidio di J.F. Kennedy e l’insensatezza della guerra in Vietnam), che si erano stancate del clima repressivo e austero che era stato loro imposto dalla fine degli anni Quaranta in poi. ‘Fragole e sangue’ non è un semplice manifesto della contestazione giovanile e nemmeno una love story mascherata da film di protesta; è un’istantanea di un momento storico che coinvolse non solo l'America, ma il mondo intero. Un momento in cui gli adolescenti di tutto il mondo alzarono la testa per affermare i loro diritti contro un sistema che ritenevano corrotto e repressivo, e che non voleva saperne niente delle loro ragioni o dei loro sogni per il futuro.

L’impossibilità di essere normale
Il trentenne Harry Bailey, dopo essersi dedicato con passione all'impegno politico per alcuni anni, ormai piuttosto disilluso, si allontana dal movimento studentesco e torna a studiare all'università, convinto di voler diventare insegnante, l'unico modo per entrare a far parte del sistema senza venir meno alle proprie convinzioni, ma anzi, per lasciare un segno positivo nella società. Prossimo alla laurea, tira avanti faticosamente fra un altalenante rapporto sentimentale con la bionda studentessa Jan, di cui è stato "pigmalione", risvegliando in lei una coscienza politica che però non ha cancellato il suo retroterra culturale e sociale, né le aspirazioni a un modello di vita tradizionale; gli studi mal sopportati, il tirocinio di insegnamento in una classe di studenti difficili, le conversazioni con i professori che ne stimano l'intelligenza e tentano di "integrarlo" fra di loro, la riluttante resistenza ai tentativi degli amici, come l'instabile Nick, di coinvolgerlo di nuovo nella contestazione studentesca, che ha già vissuto intensamente in passato. Alla fine tutti i nodi verranno al pettine, in un finale esplosivo e inaspettato. All'alba delle contestazioni giovanili di fine anni Sessanta, il newyorkese Richard Rush dimostra da subito un simpatetico interesse per le allora nuove istanze: già nel 1968 realizza Psych-Out (con dei giovani Jack Nicholson e Dean Stockwell), omaggio al flower power e in particolare all'eldorado psichedelico di Haight-Ashbury. Due anni più tardi, egli abbandona i toni apologetici che contraddistinguono questo lungometraggio e, con un approccio più lucido e distaccato, sposta l'attenzione sulla questione delle rivolte studentesche. Al contrario di Fragole e sangue, il film di Rush viaggia su tutt’altro tipo di binari, abbracciando una visione più realistica, ma al contempo satirica, del periodo. Forte di una scintillante interpretazione del giovane Elliott Gould e di una regia di Rush rapidamente maturata, soprattutto se confrontata con quella onesta ma alquanto ingenua di Psych-Out, il film si inserisce tra commedia e dramma in modo spontaneo, riuscendo alternativamente a far sorridere e a far riflettere. Ancor oggi, poi, risulta difficile non provare solidarietà per un personaggio come Harry Bailey: se nei film precedenti i protagonisti erano ragazzi scapestrati e privi di un vero obiettivo nella vita, il personaggio di Bailey è letteralmente sospeso fra l’adolescenza e l’età adulta, spinto da un forte desiderio di cambiare il sistema dall’interno, ma trovandosi perennemente invischiato in situazioni ridicole e paradossali in stile Franz Kafka. È emblematica la scenetta in apertura del film: Harry, disperatamente alla ricerca di un lavoro per pagarsi gli studi, va a cena con Jane a casa di un influente professore dell’università. Tutto fila liscio, fino a quando il discorso non scivola sulla politica e sulla contestazione studentesca in atto; Harry sa che per ottenere il posto dovrebbe tacere o glissare, ma naturalmente non ci riesce e, dopo aver preso apertamente le difese degli studenti, contesta direttamente il docente, che resterà di stucco. Da questo semplice segmento capiamo che il protagonista è fondamentalmente un immaturo, nevrotico e ipomaniacale, incapace di controllare le proprie spinte istrioniche e narcisistiche. Se molti film di quell'epoca, come ad esempio Easy Rider o Zabriskie Point, propendono chiaramente per il ribellismo più istintivo, il film di Rush prende le dovute distanze dall’incitamento alla rivolta, concentrandosi su uno spunto più realistico e riflessivo. Non vi è traccia di esaltazione all'uso di droghe, all'amore libero e al pacifismo più ordinario. Anzi, a questo punto è d'obbligo menzionare un altro personaggio della storia, non molto funzionale allo svolgimento, ma simbolicamente significativo: si tratta di Nick, l'amico fricchettone di Harry, un giovanotto che passa le giornate a fare di tutto per sfuggire alla chiamata alle armi e a fumare spinelli, l'archetipo del parassita che abbraccia senza troppa convinzione gli ideali pacifisti per rifuggire le proprie responsabilità. Una caratterizzazione acuta, che fa sicuramente sorridere, ma anche ragionare. Anche se è invecchiato male, L’impossibilità di essere normale è perfettamente inserito nel contesto storico in cui è ambientato, e a distanza di anni il suo messaggio anticonformista riesce ancora a far riflettere come allora e ci invita a utilizzare il nostro bagaglio culturale in modo attivo e personale, senza farci influenzare dagli altri.

Giovani guerrieri
Nella cittadina di New Granada, la comunità giovanile (irrequieta e annoiata) si abbandona a un'escalation di atti vandalici, ribellioni e abusi di sostanze stupefacenti. Con la morte del capobanda Richie per mano di un poliziotto, la situazione precipita in un'aspra guerriglia che mette a ferro e fuoco la provincia. Dopo l’uscita de I guerrieri della notte di Walter Hill, il cinema americano venne invaso da una nuova ondata di film incentrati sulle nuove generazioni nate dopo il Sessantotto. Se nella prima decade i film del genere analizzavano il disagio e lo spaesamento delle generazioni nate negli anni Quaranta, e nella seconda la ribellione contro le autorità di quelle nate nei Cinquanta, nella terza vengono mostrate le conseguenze di tale ribellione. Contemporaneamente al film di Hill, un altro film dalle tematiche analoghe, ma affrontate da un punto di vista più realistico, venne completamente eclissato dal successo del primo, nonostante gli argomenti trattati fossero più in linea con la dura realtà. Diretto da Jonathan Kaplan e basato su un violento fatto di cronaca, il film Giovani guerrieri offre uno spaccato sulle generazioni di fine anni Settanta, cresciute sulle macerie del sogno americano e sui fallimenti delle generazioni del Sessantotto. Se nel film I guerrieri della notte la figura del giovane teppista appare stereotipata e gonfiata all’inverosimile, nel film di Kaplan i personaggi sono raffigurati con un approccio più realistico. Nel film vediamo un gruppo di giovani sbandati, dediti alla droga e a una vita sregolata, che però vengono rappresentati come i protagonisti di un film di Steven Spielberg. Negli anni Settanta, le differenze fra città e provincia erano mostrate in maniera alquanto edulcorata: se la città era rappresentata come piena di insidie e pericoli, la provincia era descritta come un’isola felice, lontana dalla violenza della metropoli e dal resto del mondo. Giovani guerrieri infranse questo schema divisivo, dimostrando che anche nella cittadina più tranquilla e sonnolenta della provincia americana potesse germogliare il seme della violenza e della tensione sociale tipico delle grandi città. Il vero punto di forza del film è principalmente la prova attoriale dei giovani protagonisti (tra cui spicca un giovanissimo Matt Dillon): spontanea, "biascicata" e piena di slang come nei veri sobborghi americani. È interessante anche il modo in cui è sviluppata la vicenda e il crescendo di violenza e tensione della comunità; se in I guerrieri della notte veniamo catapultati nel mezzo dell’azione, in Giovani guerrieri la violenza è graduale e inattesa. Nonostante la buona regia, l’ottima interpretazione dei giovani attori e il suo impianto da film neorealista, la pellicola di Kaplan non fu un grande successo al botteghino e venne ignorata dalla maggior parte della critica del tempo; ciò nonostante, nel corso degli anni, grazie al suo stile realistico, anarchico e a tratti duro, il film è divenuto un cult movie generazionale archetipo del "teen spirit" che pervadeva la gioventù dei sobborghi di quegli anni e che avrebbe ispirato il grande cantante Kurt Cobain, leader dei Nirvana e leggenda indiscussa del Punk-Rock.

Shopping
Billy è da poco uscito di prigione e, con i suoi giovani amici, si abbandona al rito del "ram-raiding", ossia scorrazza con auto rubate a forte velocità per le strade di Londra, sfasciando negozi e vetrine per rubare tutto il possibile. La compagna di Billy, Jo, ha un sogno nel cassetto, ma lui vuole misurarsi prima con il suo rivale Tommy e con la polizia. È l’inizio di una lotta senza quartiere, dagli esiti tragici per Billy e i suoi amici. Spostiamoci dalle turbolente strade americane a quelle piovose e degradate di un’Inghilterra di un imprecisato futuro, alla riscoperta di un cult movie ingiustamente dimenticato. Un anno prima dell’adattamento di Mortal Kombat, il giovane regista Paul W. S. Anderson esordiva insieme a un altrettanto giovane Jude Law in un film dal forte impatto nichilista, divenuto il simbolo del post-punk inglese. Sebbene sia fortemente influenzato dal cinema di Luc Besson e Kathryn Bigelow, il film di Anderson gode di uno stile fortemente originale e anarchico, che riesce a intrattenere e affascinare lo spettatore, nonostante una trama scarna e a tratti inesistente. La storia, ambientata in una città inglese imprecisata, sospesa tra un degradato presente e un futuro ormai prossimo, parla di Billy e della sua inesorabile discesa attraverso una società iper consumistica, piagata dalla crisi economica e dalle grandi corporazioni finanziarie. A differenza dei protagonisti dei precedenti film, il personaggio di Billy non ha un vero motivo che lo spinge a fare quello che fa, non è in cerca di comprensione e non ha grandi aspirazioni per il futuro; è semplicemente l’incarnazione del senso di alienazione e spaesamento che serpeggiava negli anni Novanta, un periodo storico segnato dalla fine della Guerra Fredda e dall’imminente venuta del nuovo millennio. Shopping è un'esperienza davvero cruda che non si tira indietro, un film che segna il crepuscolo dell’ultima generazione di fine secolo, una generazione che ha smesso di lottare, cresciuta in un mondo che le aveva promesso che sarebbe andato tutto bene, ma che alla fine si scontra con la dura realtà che la circonda.

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